70° Festival di Cannes, 17 – 28 maggio 2017, Cannes (Francia)
Mr. Godard va in vacanza
Godard tra proteste in piazza dilaganti e Nouvelle Vague in declino: Il mio Godard (Le Redoutable) è un ritratto divertente e divertito di uno dei maggiori autori della storia del cinema, presentato con una messa in scena che, nonostante le aspettative, lascia del tutto fuori dallo schermo l’irriverenza e la reale messa in discussione di Godard, uomo o artista che si intenda.
Prima o poi doveva arrivare il momento di dedicare un film a Jean-Luc Godard, finanche dissacrandone l’aura.
E allora, presi il più celebre (per il grande pubblico) regista francese degli ultimi anni (Michel Hazanavicius) e il più rappresentativo degli attori della nuova generazione di divi francesi (Louis Garrel – la discendenza artistica è una ciliegina sulla torta che in casi come questo potrebbe ritorcersi contro di lui), Il mio Godard prende già forma. Fotografia e montaggio sono impeccabili, degni di una replica puntuale e ironica degli stilemi Anni ’60/’70, e rafforzano l’ironia di un personaggio che a tratti diviene quasi una macchietta, allontanando di fatto il film da una reale critica di Godard a tutto tondo. Difetti di pronuncia accentuati fino all’inverosimile, gag con gli occhiali degne di Mr. Hulot e un’improvvisa(ta) gelosia cieca nei confronti della neo-moglie Anne Wiazemsky non possono certo arrivare a comporre l’iconoclastia tanto attesa da questo film. Il mio Godard parla tanto di politica (economica, artistica, sociale) ma di politico ha ben poco, se non la promozione di una commedia costruita in maniera impeccabile dal migliore (probabilmente) dei registi francesi “manieristi” contemporanei. Nell’ostentazione visiva di cromatismi e tratti caratteriali accentuati, Hazanavicius non tralascia di inserire nelle immagini una quantità immane di riferimenti e citazioni culturali, che però rimangono troppo spesso un mero esercizio di stile. Così facendo, si va ben poco oltre la superficie, non ci si addentra mai in una riflessione (qualunque essa sia) capace di portare qualcosa alla luce che non sia già di per sé evidente, come appunto estetismi e composizioni visive.
Persino le performance attoriali riflettono questo dato, con una Stacy Martin al limite della credibilità e un Louis Garrel stretto in un costume che non sempre veste con scioltezza. Il film è una commedia riuscita, con alcune iterazioni ridondanti che ne appesantiscono il ritmo compensate però da un’estetica ammiccante e al limite della perfezione, ma che comunque non mette mai realmente in discussione nessun aspetto della figura, tuttora intatta del simbolo per eccellenza della Nouvelle Vague e, forse, del cinema francese tout court. Alla fine dei conti, un’opera ammirabile e godibile per tutta una serie di motivi che, probabilmente, non sono quelli che interessavano a produttori e spettatori.