SPECIALE HORROR POLITICO
Tra inferno e paradiso
Allucinazione perversa è un film che lavora su quella che è la nostra percezione della guerra del Vietnam. La sequenza iniziale, che costruisce al suo interno in maniera vellutata la progressiva amplificazione di una tipica scena di battaglia, è perfetta per comprendere a cosa ci riferiamo: soldati che scherzano, le solite battute goliardiche, movimenti tra gli alberi, esplosioni e sparatorie, un nemico che non si vede ma che rade al suolo tutto il piccolo villaggio conquistato dagli americani, superstiti allucinati e persi con lo sguardo nel vuoto, uno di loro (Jacob, il protagonista) che viene infilzato da una baionetta.
Tutto come dovrebbe essere, tutto come ce lo aspetteremmo. C’è un solo dettaglio che disturba questa sequenza: alcuni di questi soldati, durante l’attacco, si sentono male, vomitano, sono in preda al delirio. Inquadrature che vengono montate senza troppe spiegazioni all’interno dell’azione, caotiche, confuse, disorganiche (e non tanto per la forma, ma più che altro per la continuità narrativa). Ed è subito qui che si attiva, di riflesso, la sensazione di avere già davanti ai nostri occhi un discorso critico sulla destabilizzazione provocata dalle droghe. In Vietnam, nello specifico, si usava l’eroina, e la ladder, quella somministrata ai soldati del film di Adrian Lyne, ne è praticamente la perifrasi. Eccola la visione, eccolo il delirio; è l’inizio di un viaggio tra inferno e paradiso. Ma anche l’assemblaggio dei temi e delle suggestioni collaterali ha a che fare con la visionarietà tipica (e dai più associatagli) dello stupefacente: un mix che mette assieme amore fraterno, senso di minaccia, spettacolarizzazione del vissuto e plastificazione della sofferenza. E tutto ciò è molto utile perché gioca sempre sulla fisicità della costruzione narrativa, sul forte impatto che essa ha sullo spettatore. In questo senso è eccezionale la messa in scena delle visioni di Jacob e in particolare di come la forza della memoria vada a collidere con la realtà che lo circonda. Essenzialmente è una composizione a strati, un montaggio con contenitori-incubo che si sormontano vicendevolmente, nelle cui pieghe (e piaghe) procede l’abbacinata vita di un soldato distrutto dall’esperienza della guerra. In uno strano, continuo e folle alternarsi tra luce e oscurità, tra tenerezza e violenza, tra razionale e istintivo si sviluppa anche il discorso estetico dell’intero film. Allucinazione perversa è una delle tappe inaspettatamente più intense di tutta la storia del cinema americano di guerra, un’opera che sa puntare il dito − senza essere ruffiana o spocchiosa − verso ogni atto violento e la sua naturale conseguenza: quel cupo malessere dal quale non ci libereremo mai.
Allucinazione perversa [Jacob’s Ladder, USA 1990] REGIA Adrian Lyne.
CAST Tim Robbins, Elizabeth Peña, Macaulay Culkin, Danny Aiello, Matt Craven.
SCENEGGIATURA Bruce Joel Rubin. FOTOGRAFIA Jeffrey L. Kimball. MUSICHE Maurice Jarre.
Drammatico/Horror, durata 115 minuti.