Ascoltando un discorso di Donald Trump, o osservando attoniti la detonazione della superbomba, è lecito chiedersi cosa sia rimasto dell’America di Cinque pezzi facili e della New Hollywood, che così tanto aveva contribuito a formare la nostra coscienza critica di spettatori (di cinema e delle cose del mondo).
Per una curiosa coincidenza tre film degli ultimi anni si sono concentrati sullo stesso periodo storico: la fase di brusca transizione politica tra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta, che provoca una reazione a catena in tutto il mondo. Jimmy Carter, che ha la principale colpa di far apparire debole e ricattabile l’America durante la crisi dell’ambasciata a Teheran, non viene rieletto e gli Stati Uniti, a 8 anni dal Watergate, ritornano repubblicani con Ronald Reagan.
Il cosiddetto malaise speech di Carter, disarmante presa di coscienza degli orrori del mondo interpretata come un segno di debolezza, occupa una scena periferica nello script, ma centrale nel senso, di 20th Century Women di Mike Mills. Una riflessione agrodolce sul XX secolo, incarnato da una donna a cui dà vita una straordinaria Annette Bening, nata durante la Depressione e morta alla fine del 1999. Una madre inafferrabile per il protagonista, sui generis nei suoi pregi e nei suoi difetti, che per prima intuisce come in quel discorso di Carter si celi la fine del “femminino” di un’America, che intende soffocare il suo lato più umano e solidale per mostrare i muscoli. Ma i fatti legati alla crisi iraniana, come ci mostra Ben Affleck in Argo, sono il frutto di diverse mistificazioni: la verità, ossia che fu la CIA a recuperare gli uomini dell’ambasciata, fu secretata fino al 1997. Chiedersi “come sarebbe stato il mondo se…?” forse non ha più importanza, ma non è casuale che voci differenti del cinema odierno individuino in quegli anni, agevolati dalla giusta distanza temporale, un punto critico di svolta nella storia statunitense. Senza riferimenti politici espliciti, ma servendosi solo di allegorie, è il Richard Linklater di Tutti vogliono qualcosa a esprimere con maggior vigore il mutamento in corso. Abolendo la trama in favore della cronaca dei party di ragazzoni dediti a baseball, donne e bevute, Linklater racconta la fine definitiva dell’innocenza. Dopo ci sono il college, le scelte, le responsabilità. E l’agrodolce sensazione di vivere un presente narrativo, che non è presente storico, parte da questa presa di coscienza individuale e, sullo sfondo, collettiva e politica.
Nel 1980 l’America ha accettato la maggiore età e ha indossato il suo vestito migliore. La sua assunzione di responsabilità per conto terzi ci ha portato fino a oggi, in cui il suo ruolo di gendarme internazionale è concentrato nelle mani del più improbabile degli uomini. Forse qualche ora di ricreazione in più non avrebbe guastato, zio Sam.