SPECIALE JACK NICHOLSON
L’uomo senza qualità
Un ultimo sguardo all’arredamento, e chi s’è visto s’è visto: Warren Schmidt, allo scoccare delle ore 17 di un giorno qualsiasi, va in pensione. Si alza dalla scrivania, raccoglie la sua valigietta e semplicemente se ne va, non prima di aver osservato per un’ultima volta quella stanza – il suo ufficio – monotona e monocroma.
Inizia così A proposito di Schmidt, ultima vera pellicola da protagonista per Jack Nicholson (prima dei “gigionismi” di Terapia d’urto e Non è mai troppo tardi) e al contempo prima indiscutibile affermazione del regista Alexander Payne (Oscar nel 2005 con Sideways – In viaggio con Jack). Correva l’anno 2002, e non è solo una nota a margine: l’epoca Bush, che forza la mano su un ostentato e stolido ottimismo, spinge l’America terrorizzata dell’11 settembre verso un benessere vacuo e imperialista. Trionfano il lavoro, la famiglia, la grande auto (in questo caso, un grande camper), l’annullamento di sé in nome di una identificazione sovranazionale. Per questo Nicholson in About Schmidt è un gigante: perché interpreta l’esatto opposto di sé, l’uomo senza qualità che si confonde con la tappezzeria. L’impiegato Schmidt è un uomo meschino e frustrato, incapace di provare sentimenti (sia positivi che negativi) e che banalmente – e tragicamente – sta al mondo, esiste, sopravvive. Immobile e inerme, attende (“forse fra vent’anni, forse domani”) la morte. Fino all’inatteso colpo di scena, che modifica tutto affinché tutto resti uguale. In quel momento la quotidianità sterza clamorosamente, rendendo il film un bislacco e crepuscolare road movie che non scalfisce però l’amarissima morale: l’assenza totale di una morale, di un senso, di un bilancio interpretabile e/o metaforizzabile. Ciò che si vede, in A proposito di Schmidt, è: un fallimento. Se da un lato è lecito domandarsi quale sarebbe stato il valore dell’opera in assenza di Nicholson (fino all’ultimo in lizza per il ruolo con Bill Murray), dall’altro – e probabilmente col senno di poi – vanno considerate le innegabili qualità di regia: tutta la filmografia di Payne indaga le dinamiche relazionali nascoste dietro la facciata del perbenismo, e per quanto A proposito di Schmidt cavalchi l’onda del sottogenere “famiglie disfunzionali” in voga in quegli anni (I Tenenbaum e tutti i suoi epigoni), lo fa in modo personalissimo. Ovvero senza lasciare scampo, senza aprire alcuno spiraglio all’ideologia isterica del sogno americano: le scene della cena (da manuale, non solo per la mimica istrionica del nostro antieroe), del letto ad acqua, della piscina e infine del matrimonio fanno sorridere, ma a denti strettissimi e con la morte nel cuore. Perché sembrano caricature, ma sono ahinoi del tutto realistiche e credibili. È questo che fa la differenza nel ritratto di Schmidt: la sua spietata e sconsolata verosimiglianza.
A proposito di Schmidt [About Schmidt, USA 2002] REGIA Alexander Payne.
CAST Jack Nicholson, Kathy Bates, Hope Davis, Dermot Mulroney.
SCENEGGIATURA Alexander Payne, Jim Taylor. (tratta dal romanzo About Schmidt di Louis Begley). FOTOGRAFIA James Glennon. MUSICHE Rolfe Kent.
Commedia/Drammatico, durata 124 minuti.