Solo un ragazzino
Pubblicata integralmente da Netflix a marzo 2017, la prima stagione di Iron Fist, capitolo conclusivo della quadrilogia sui Defenders Marvel che presto porterà a un curioso (e potenzialmente pericolosissimo) crossover finale, rappresentava per molti un motivo di grande e sincera attesa.
Pur nella loro differenza di approccio narrativo e costruzione del personaggio, i precedenti capitoli del ciclo, Daredevil, Jessica Jones e Luke Cage, offrivano allo spettatore soluzioni stratificate di ideazione e messinscena, affiancando al percorso dei protagonisti questioni tematicamente complesse che intersecavano la lotta dei sessi, l’esplorazione del contesto urbano e una tensione sociologica puntuale pur nel taglio fumettistico dell’intrattenimento. Iron Fist sembrerebbe prescindere dal comune afflato dei suoi predecessori, concentrandosi sul plot ma faticando a coltivare quello che altrove sembrava un prezioso sottotesto sulla contemporaneità. Nel percorso del giovane Danny Rand, scomparso da New York per quindici anni e da tutti creduto morto, ritornato a sorpresa in città e determinato da una parte a riprendere il controllo della ricca azienda di famiglia, dall’altro a contrastare il crimine grazie alle sublimi arti del kung-fu e al potere, tutto personale, del Pugno d’acciaio, le aspettative generate dalle altre serie vengono immediatamente declassate. Iron Fist sembrerebbe concentrarsi sull’itinerario interiore di un uomo non ancora giunto a piena formazione, diviso tra il desiderio personale di consolidare il legame con la propria identità passata e il dovere quasi dogmatico di prestare fede alla personale missione di guerriero, inevitabilmente legata al mondo che, quando era bambino, lo ha sottratto alla morte e lo ha formato secondo i propri codici. Ci si domanda se la serie non si focalizzi sul tema dell’autodeterminazione, e aderendo a un tono quasi adolescenziale del racconto non cerchi di conquistare le attenzioni della fascia più giovane degli spettatori. Può darsi, ma questo non salva il prodotto da vistose cadute di stile: colpa di alcuni passaggi narrativi che, nel loro complottismo malcelato, ricordano soluzioni televisive ormai fuori tempo massimo, e di un casting non all’altezza dei temi. La problematicità di Danny Rand, affidata a Finn Jones, finisce per ricordare lo smarrimento un po’ capriccioso di un bambino, mentre a sostenere la qualità della linea tematica delle eredità familiari corrono in aiuto le prove dei comprimari Tom Pelphrey e Jessica Stroup, alle prese con un luciferino David Wenham nel ruolo del loro padre. Prosegue invece il meccanismo ben oliato dell’intersezione di elementi narrativi comuni a tutto il ciclo dei Defenders, primo fra tutti la presenza dell’infermiera Claire Temple, ancora affidata a Rosario Dawson. Forse la figura più interessante dell’intero ciclo, donna comune in cerca di risposte sul suo possibile ruolo nella lotta al Male.
Iron Fist [id., USA 2017] IDEATORE Scott Buck.
CAST Finn Jones, Jessica Henwick, Tom Pelphrey, Jessica Stroup, Rosario Dawson.
Azione, durata 50-60 minuti (episodio), stagione 1.