SPECIALE PAUL VERHOEVEN
Un ragno, una tela e un crocefisso
Il quarto uomo è un film che parla di trappole e di inganni, di apparenze e di sembianze e il suo racconto comincia con un crocefisso e una ragnatela. O meglio, una ragnatela dietro un crocefisso.
Si apre quindi con un’immagine immediatamente chiara e lampante; uno spiraglio che ci fa già intravedere come il dito sia ben puntato in direzione di qualcosa che trama dietro un simbolo, cercando però di elaborarne il significato senza cadere nei tranelli delle facili esegesi. Perché la storia del romanziere Gerard Reve, sedotto dall’affascinante ma ambigua Christine Halsslag, ha il sapore di una grande parabola. Una vicenda che illustra il potere della creazione, dell’immaginazione e di come queste ricadano insistentemente sulle nostre esistenze. Verhoeven sa come giocare le sue carte e, per rendere tutto più trasparente, lo fa scoprendole senza ritegno; quello che ci fa credere inizialmente è che stia manipolando una qualsivoglia idea di onirico, ma poi, improvvisamente, concretizza tutto facendo smaterializzare anche il più piccolo briciolo di residuo surrealista. Vengono allora in mente film come Videodrome, Il seme della follia o Strade perdute, opere insomma che calpestano insistentemente la linea che demarca il folle dal sano e che hanno più di un punto di contatto con Il quarto uomo. Ma il fatto è che, appena ci tornano alla memoria e ci costringono a un confronto, c’è subito qualcosa che non torna. La forza della pellicola di Verhoeven − a differenza delle altre citate − sta infatti proprio nella capacità di distaccarsi nettamente da un certo flusso continuo che permea il reale facendone una sorta di sogno (o incubo) a occhi aperti. È come se alla fine tutto fosse molto concreto e distinto: non è un caso che la minaccia si cominci a percepire attraverso la visione di filmini amatoriali e di famiglia. Una copia della realtà, è vero, ma sicuramente più tangibile e consistente delle tormentate visioni di Gerard. Questo comunque sia non toglie il fatto che − come accennavamo in apertura − l’inganno sia il tema centrale. Il terrore è negli occhi di chi osserva o ha osservato, semplicemente perché le sue prospettive sono malleabili a causa del fatto che ci sia qualcosa che le rende tali. E cosa? I condizionamenti sociali, prima di tutto. Durante una conferenza dal pubblico arriva una domanda: “Come può un uomo raziocinante definirsi cattolico e guardare alla scienza?” Gerard tranquillamente risponde: “Cattolico non è sinonimo di idiozia. Cattolico significa avere grande capacità di immaginazione. Le grandi scoperte scientifiche sono il prodotto di una grande fantasia. Dunque il mondo della scienza deve essere cattolico”. Insomma, un ragno (l’uomo), una tela (la scienza) e un crocefisso (la fede).
Il quarto uomo [De vierde man, Olanda 1983] REGIA Paul Verhoeven.
CAST Jeroen Krabbé, Renée Soutendijk, Thom Hoffman, Dolf de Vries.
SCENEGGIATURA Gerard Soeteman. FOTOGRAFIA Jan de Bont. MUSICHE Loek Dikker.
Drammatico/Thriller, durata 105 minuti.