SPECIALE PAUL VERHOEVEN
La materia e la morale
L’ultimo lavoro di Paul Verhoeven, Elle, è un film volutamente “amorale” e anticonformista che, come è già stato scritto in alcune recensioni, mette in discussione i nostri valori e i nostri preconcetti, e dunque anche le nostre aspettative di spettatori.
Uno spirito felicemente critico e corrosivo che caratterizza buona parte della carriera cinematografica dell’autore olandese, come dimostra anche uno dei suoi primi lungometraggi: Fiore di carne, grande successo commerciale del 1973 e candidato all’Oscar come Miglior Film Straniero per i Paesi Bassi. L’opera racconta la passionale ma difficile storia d’amore tra lo scultore Erik Vonk e la giovane Olga Stapels, due ragazzi assolutamente istintivi ed emotivi che trasgrediscono spesso i valori e le norme del loro ambiente sociale per dare sfogo ai propri impulsi sessuali. Caratteristiche che oppongono i due al contesto piccolo borghese nel quale vivono, contesto che l’opera deride e critica nei suoi aspetti più ipocriti e perbenisti, tanto tramite alcune figure secondarie (in primis quella della madre di Olga) quanto, ma più indirettamente, con particolari opzioni linguistiche. Infatti, la regia di Verhoeven, pur essendo apparentemente classica e lineare, crea delle immagini crude e sgradevoli che mostrano in modo esplicito diversi aspetti scatologici e anatomici dei personaggi, dal vomito al liquido amniotico; una scelta che da un lato sembra voler disturbare i gusti più tradizionali e conservatori dello spettatore medio, mentre dall’altro intende probabilmente contribuire a spogliare la love story raccontata da ogni alone romantico, scardinando così i codici narrativi ed estetici del “film sentimentale”. Inquadrature che non risultano però soltanto una provocazione a un tipo di pubblico e a uno specifico genere cinematografico, in quanto hanno anche altre funzioni drammatiche e semantiche: se da un lato sottolineano la psicologia impulsiva e carnale dei protagonisti, dall’altro rendono la pellicola uno strano omaggio al ciclo della vita, in tutte le sue forme e in tutti i suoi aspetti, compresi quelli spiacevoli e corporei. Un sottotesto che emerge anche nei diversi oggetti presenti nell’opera: dalla statua con i vermi (metafora della morte) alla scultura di Olga con un bambino in braccio, simbolo di nascita e maternità. Tutti elementi che rendono Fiore di carne un film al tempo stesso fisico e concettuale, materico e stratificato, che riesce inoltre a mettere in crisi le più conformiste convenzioni sociali ed estetiche di quegli anni. Una linea poetica che Verhoeven svilupperà anche successivamente, raggiungendo magari risultati più raffinati e compatti, come quel piccolo grande capolavoro di Elle.
Fiore di carne [Turks Fruit, Olanda 1973] REGIA Paul Verhoeven.
CAST Monique van de Ven, Rutger Hauer, Tonny Huurdeman, Wim van den Brink.
SCENEGGIATURA Gerard Soeteman. FOTOGRAFIA Jan de Bont. MUSICHE Roger van Otterloo.
Drammatico, durata 112 minuti.