SPECIALE MOSTRUOSO
Lunga vita al re
È il film che ha definito il senso di meraviglia (sense of wonder) del cinema classico americano: basterebbe l’immagine dell’enorme gorilla in cima all’Empire State Building per comprendere quanto il film di Merian Cooper e Ernest Schoedsack del 1933 abbia inciso nell’immaginario a stelle e strisce e di conseguenza in quello del mondo definendo da subito il canone del cinema di mostri.
King Kong racconta di una troupe cinematografica in viaggio verso la giungla più profonda per girare un film d’avventure: qui, gli indigeni invocano il gigantesco gorilla Kong che alla sua terrificante apparizione rapisce la bella attrice Ann. Così il regista e il resto del gruppo organizzano una spedizione per recuperarla, cercando però soprattutto di catturare il gorilla. James Ashmore Creelman e Ruth Rose scrivono con la collaborazione di Edgar Wallace una sceneggiatura semplice eppure archetipica in cui l’avventura esotica diventa anche film dell’orrore apocalittico e saggetto sulla mostruosa sessualità del (e nel) cinema kolossal. Intorno alla figura di Kong, il re di ogni forma di vita presente e passata – dato che nell’isola vivono tremende forme di animali preistorici -, si crea un film che punta a stupire e perturbare lo spettatore attraverso elementi decisamente più sottili di quelli che ci si aspetterebbero da un film del genere: innanzitutto, la dinamica sessuale tra il bestione e la seducente Fay Wray tanto ambigua e imprevedibile da aver ispirato numerosi studi e analisi accademiche; il contrasto di rado così vivido tra l’estetica esotica – e in fondo colonialista – del cinema americano (di cui Tarzan è il punto più evidente) e le possibilità mitiche della città, con New York come luogo di approdo anche per l’abbondanza di grattacieli, Kong di cemento da sconfiggere ed evidenti simboli fallici da conquistare; e inoltre la descrizione del mostro come un vero personaggio a tutto tondo, con una sua peculiare profondità, una sua moralità al di là del bene e del male o delle coordinate umane, una sua profonda dimensione sentimentale che lo rende anche veicolo di commozione (come più in là farà in modo ancora più spiccato Il mostro della laguna nera di Arnold). Ma ovviamente, più di ogni cosa, King Kong mostra la straordinaria competenza di Cooper e Schoedsack nell’utilizzo dei meccanismi della tensione, nel piegare le perversioni umani al gioco della suspense, con annessa una grande abilità nello sfruttamento del talento di Willis O’Brien, Harry Redmond Jr. e Sr. e Frank D. Williams come creatori di modellini, animatori e realizzatori di effetti speciali la cui artigianalità di plastilina, così evidente e ingenua con lo scorrere degli anni, li ha resi ancora più emozionanti. Come uno spettacolo di marionette o burattini elevato al grado più alto di potenza e fascinazione.
King Kong [id., USA 1933] REGIA Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack.
CAST Fay Wray, Robert Armstrong, Bruce Cabot, Frank Reicher.
SCENEGGIATURA James Ashmore Creelman, Ruth Rose, Edgar Wallace. FOTOGRAFIA J.O. Taylor, Vernon L. Walker, Kenneth Peach. MONTAGGIO Ted Cheesman.
Avventura/Fantasy, durata 100 minuti.
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