Un uomo solo in un cortile vuoto
Un piccolo mondo si apre di fronte ai nostri occhi durante la visione di Barriere, candidato a quattro premi Oscar, terza opera cinematografica di Denzel Washington (protagonista anche a teatro, assieme a Viola Davis).
Troy Maxson, netturbino ed ex promessa del baseball, la moglie Rose, due figli avuti con donne diverse, e un fratello, sono al centro di questa grande canzone suonata dall’attore hollywoodiano. Il regista porta al cinema l’omonima pièce teatrale di August Wilson, uno dei più importanti drammaturghi (afro)americani, capace di narrare la Pittsburgh anni ’50. Barriere racconta un’epoca, una famiglia, un disagio esistenziale: simbolo di ciò sono proprio le barriere, quelle fisiche (lo steccato che Troy sta costruendo in giardino), quelle storico-culturali (i pregiudizi in cui è vissuto, gli occhi degli altri, spesso rivelatisi nemici), quelle mentali (le fragilità con cui costruisce muri inespugnabili). È un cortile, sempre più vuoto, che nasconde segreti e colpe tra le zolle, il locus in cui si srotola questa storia: il dramma di un infelice, capace non di includere ma solo di escludere, e di una donna con il grembo pronto ad accogliere quell’uomo così arrabbiato, deluso, incattivito e disposta a crescere figli (anche di altre) come una Grande Madre. Barriere mostra una mascolinità e una femminilità ben precise: Troy decide, porta i soldi a casa − convinto che sia questo il ruolo di un capofamiglia − ha varie donne, e Rose, una struggente Davis, dà pezzi di sé, iniettando il compagno come un farmaco sotto la pelle, dimenticandosi di se stessa. Troy è brutale, scorretto, cattivo, porta addosso ciò che è stato, le ingiustizie subite, le ferite infertegli dal padre e la delusione di un sogno spezzato, distruggendo in nome di ciò quello degli altri. Canta un inno di dolore, violenza e rassegnazione, celebrando con la sua sola presenza una minoranza, e lo fa con monologhi e dialoghi pieni di significato. Rose con il corpo sostanzia la sofferenza di una donna in balìa del marito, spezzata e poi risanata, con parole prima intrise di amore, poi di delusione, infine di consapevolezza. Washington, con pochi movimenti di macchina e unità di luogo, realizza una pellicola pura, con struttura, pause, impianto teatrali – elemento che può essere pregio o difetto del film. Barriere è coinvolgente, soprattutto nella parte centrale e finale, e, come in un blues, fa piangere e urlare grazie alla bravura di due interpreti che indossano alla perfezione il loro ruolo.
Barriere [Fences, USA 2017] REGIA Denzel Washington.
CAST Denzel Washington, Viola Davis, Stephen Henderson, Jovan Adepo, Russell Hornsby.
SCENEGGIATURA August Wilson, Tony Kushner (tratta dall’omonima pièce teatrale di August Wilson). FOTOGRAFIA Charlotte Bruus Christensen. MUSICHE Marcelo Zarvos.
Drammatico, durata 138 minuti.
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