America (quasi) senza sogni
Vincitore del Premio della Giuria al 69° Festival di Cannes, American Honey è il primo film statunitense della regista britannica Andrea Arnold, la quale cambia Paese ma non i punti centrali di parte del suo cinema. Qui infatti l’autrice, proprio come nel suo titolo più famoso (e più riuscito), Fish Tank, racconta la storia di un’adolescente che vive e cresce in un contesto desolato e sottoproletario.
La protagonista è Star, una teenager texana che scappa da una difficile situazione familiare per seguire alcuni ragazzi che girano gli States a vendere delle riviste porta a porta. Una comitiva guidata da una giovane donna che dirige il lavoro imbastendo regole severe e ideando particolari riti goliardici. Pur concentrandosi particolarmente sull’emotività e la psicologia della sua “eroina” adolescente, l’opera non dimentica mai di delineare con estrema attenzione anche il contesto in cui si svolge la vicenda, ovvero l’America desolata e abbandonata della crisi economica, quell’America così impegnata a sopravvivere in un presente precario da aver (quasi) scordato di sognare e progettare un futuro migliore. Aspetti costantemente sottolineati e rappresentati da Star e dai “ragazzi perduti” che la circondano, dai squallidi motel e dagli appartamenti disordinati da loro attraversati, così come da alcuni dialoghi emblematici (vedi quello tra la teenager e il camionista). Figure e paesaggi che l’autrice − proprio come nei precedenti Wuthering Heights e Fish Tank − segue e descrive pedinando spesso i suoi personaggi e facendo ampio ricorso alla macchina a mano. Ma se negli altri due titoli tale modalità di ripresa era piuttosto misurata o comunque fortemente giustificata dal climax generale, in questo ultimo film non solo è troppo utilizzata, ma sembra essere inoltre meno motivata dal punto di vista narrativo, drammatico e semantico. Una linea formale che questa volta la cineasta non controlla a pieno, dunque, come evidenziano anche i diversi momenti morti e non necessari sparsi per tutto il film, che con le sue due ore e quaranta minuti di durata risulta eccessivamente lungo e, a tratti, persino dispersivo. Limiti che dimostrano quanto questa volta la Arnold si sia un po’ smarrita tra i personaggi e gli ambienti raccontati, in quella che probabilmente è la conseguenza del trasferimento dal contesto britannico a quello statunitense, forse meno conosciuto dalla cineasta. Elementi che non privano totalmente d’interesse il film, ma che lo rendono decisamente meno riuscito e compatto rispetto ai lavori precedenti della regista inglese. Insomma, un piccolo passo indietro per un’autrice che va comunque seguita.
American Honey [id., USA 2016] REGIA Andrea Arnold.
CAST Sasha Lane, Shia LaBeouf, McCoul Lombardi, Arielle Holmes, Crystal Ice.
SCENEGGIATURA Andrea Arnold. FOTOGRAFIA Robbie Ryan. MONTAGGIO Joe Bini.
Drammatico, durata 163 minuti.