67. Berlinale – Berlin International Film Festival, 9 – 19 febbraio 2017, Berlino
Nuove forme di umanità
Misogini al comando, difesa a oltranza della famiglia tradizionale, la nascita di nuovi movimenti femministi, smartphone hackerati, omosessuali, froci, lesbiche, gender, coming out pubblici, il machismo isterico di Al Bano.
Mai come in quest’epoca la bipolarità del mondo è illuminata dalla luce delle tante sessualità che lentamente, e con enorme fatica, emergono dalla colata magmatica del “diverso” per poi essere riconosciute, accettate, rifiutate, studiate. Tra le tante opere della sezione “Panorama” della Berlinale 2017, zeitgeist cinefilo meno sperimentale di “Forum” ma più attento ai contrasti globali del presente, ne scegliamo tre come punti cardinali per una breve analisi. Pieles di Eduardo Casanova (prodotto da Álex de la Iglesia) tra quelle viste è l’opera più originale e coraggiosa, un manifesto che chiede a lettere maiuscole la fine della dittatura della bellezza, mettendo a nudo la banalità del perverso all’interno di un freak-show domestico. Personaggi già eterni, dialoghi che operano sul ribaltamento carnevalesco tra mostri e normali approdando alle medesime conclusioni – “sei come tutti gli uomini, mi ami solo per il mio aspetto” dice Ana, che ha la parte sinistra del volto deformata – e l’idea che, in fondo, quando si parla di sesso niente è nuovo, ma solo in attesa di essere accettato. All’angolo opposto, il nuovo affondo ideologico di Bruce LaBruce, The Misandrists, che dopo la parentesi “soft” di Gerontophilia torna a capo delle armate rivoluzionarie del sesso. Nella campagna tedesca femminile – Ger(wo)many in originale – una matrona ha riunito dentro un casolare in rovina delle giovani con alle spalle storie di abusi, trasformandole in misandriche libere di esprimere in ogni momento la loro sessualità. Le cose cambiano quando un soldato ferito trova riparo, grazie a una di loro, nello scantinato: la presenza di un uomo non è tollerabile nella lotta per la purezza sessuale e l’unica soluzione è trasformare il nemico in nuovo alleato (come ve lo lascio immaginare). Terzo vertice è Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, romanzo di formazione del giovane Elio, ricco 17enne che vive con i genitori nel nord Italia e che nell’estate del 1983 si innamora di Oliver, studente americano di 8 anni più grande, allievo del padre. Una relazione clandestina, l’esplosione di una passione estiva che diventa ricerca del proprio Io, costruzione di un’identità. Tre film in cui lo sguardo si stringe, necessariamente, sui corpi, esplorandone le eccezioni (Pieles), l’interno (The Misandrists) o l’efebica bellezza esteriore (Chiamami col tuo nome), per raccontare il senso di liberazione prodotto dalla liberazione dei sensi. Non parliamo di anarchia, anche se la rivoluzione di LaBruce in definitiva punterebbe proprio a quello, bensì di consapevolezza, del sé e dell’altro, di occhi che guardano dentro e non oltre, della percezione errata del mondo come insieme di persone/oggetti da sfruttare a piacimento: se una ragazza ha il culo al posto della faccia, per la proprietà commutativa, invertendo l’ordine degli orifizi il risultato non cambia. Serve questo cinema forte, sincero capace di proporre un’alternativa all’abbrutimento mediocre dell’uomo, inteso come individuo Al Bano, e di esaltare l’umano.