SPECIALE SOVRANI IN CRISI
50 sfumature di tragedia
Gli Oscar si avvicinano. Ancora oggi Katharine Hepburn detiene, con quattro statuette alzate, il record dell’attrice più premiata.
Il suo terzo Oscar arrivò, all’età di 62 anni, nel 1969 grazie al ruolo di Eleonora d’Aquitania ne Il leone d’inverno, esordio alla regia dello storico montatore Anthony Harvey, tratto dall’omonima opera teatrale di James Goldman, anche autore della sceneggiatura. Un film da riscoprire, non solo per la stratosferica prova della grande attrice, ben accompagnata, vedremo, dai colleghi maschi. Il leone d’inverno ricostruisce la notte di Natale del 1183, quando si consuma, senza esclusione di colpi, tradimenti e bassezze, la lotta tra Enrico Il Plantageneto re d’Inghilterra (Peter O’Toole) e sua moglie Eleonora d’Aquitania; motivo della contesa, quale dei tre figli (Anthony Hopkins – Riccardo, il re “più fasullo d’Inghilterra” di disneyana memoria; Nigel Terry – Giovanni “Cuor di Leone”; John Castle – Goffredo) avrebbe ereditato il trono. Questa tragedia storica di evidente ispirazione shakespeariana funziona soprattutto per un motivo: per come riesce ad essere allo stesso tempo cupissima e divertente, caustica e struggente, crudele e tenera. L’impianto di fondo da tragedia familiare shakespeariana è infatti accompagnato dalla ferocia e dalla verve della miglior commedia sofisticata e da una crudele e allo stesso tempo estremamente tenera storia d’amore continuamente rimpianto e negato. I tre toni sottolineano l’amara consapevolezza e la lotta interiore dei due anziani monarchi protagonisti, i quali paiono essere consci di essere due pedine in mano alla “Storia” e alla ragion di stato e quindi obbligati ad agire in un certo modo, a combattersi a spron battuto e ad odiarsi, vittime di una finzione “necessaria” di cui sono attori consapevoli, pur volendo nel profondo respingerla. Fondamentali da questo punto di vista sono i dialoghi, che sfiorano la perfezione e che passano nel giro di un battito di ciglia dall’odio più feroce alla tenerezza più dolce, passando per la battuta divertente e caustica, così come i tre toni del film sono riassunti dallo splendido finale. Funzionali alla cupezza di fondo sono anche le ambientazioni, all’insegna di un medioevo torvo e tetro, più romanico che gotico e ben poco romantico. Il leone d’inverno trova quindi i suoi punti di forza nella splendida sceneggiatura e nella grande prova fornita dagli attori; della Hepburn fenomenale abbiamo già detto, ma Peter O’Toole è altrettanto strepitoso, mentre non sfigurano Hopkins, Terry e Castle. L’unico limite che impedisce al grande film di essere un vero capolavoro è la regia, funzionale e impeccabile, ma anche dall’impostazione eccessivamente teatrale e del tutto al servizio della sceneggiatura e dell’istrionismo dei due protagonisti; ad ogni modo, un peccato veniale.
Il leone d’inverno [The Lion in Winter, Gran Bretagna 1968] REGIA Anthony Harvey.
CAST Katharine Hepburn, Peter O’Toole, Anthony Hopkins, John Castle, Nigel Terry.
SCENEGGIATURA James Goldman. FOTOGRAFIA Douglas Slocombe. MUSICHE John Barry.
Storico/Drammatico, durata 134 minuti.