Nell’anno in cui il Festival di Berlino non contempla nessun film completamente italiano in nessuna delle sue sezioni, la consolazione per i tifosi del cinema nostrano arriva dall’Orso alla Carriera a Milena Canonero, signora dei costumi cinematografici che aggiungerà l’Orso ai 4 Oscar e agli altri 27 premi raccolti in carriera da Barry Lyndon in poi. Ma questa assenza di film italiani che vuol dire? È un segnale preoccupante? E se lo fosse, in che senso andrebbe interpretato?
La presenza di almeno un film nazionale a uno dei più prestigiosi festival mondiali non dice molto dell’intero sistema di un Paese, ma è sicuramente un biglietto da vista per l’estero: i festival celebrano e premiano le avanguardie e le punte di diamante di una cinematografia, i grandi autori e le migliori espressioni del cinema “di qualità” (dicitura usata male, il più delle volte). La bellezza dei film di un festival non dice forse della bontà di un’industria, soprattutto nella sua interezza, ma sono un fattore indicativo. E ciò che indicano gli ultimi 12 mesi circa, da Cannes al prossimo Berlino passando per la Mostra del Cinema di Venezia, stanno a significare che il cinema italiano, in particolare quello che potremmo generalizzando chiamare d’autore, è in debito d’ossigeno.
Allora per una volta tanto, per amore del cinema italiano, dovremmo essere contenti che un festival rifiuti di accettare film non all’altezza anziché accettare ripieghi in nome di una correttezza politica poco seria. E il segnale mi pare ancora più forte perché viene da un festival che comunque è sottotono nella selezione annuale, stretto tra l’autunno veneziano e la primavera cannense che tolgono titoli, concentrato su pochi nomi di richiamo autoriale (Kaurismaki, Netzer, Hong, Sabu, Potter e altri “minori”) e un fuori concorso mainstream con Logan (il nuovo film con Wolverine), De la Iglesia, Boyle, James Gray e poco altro.
Ci si deve lasciare andare alla scoperta e alla ricerca a Berlino, nei documentari e nei film del “Forum” e di “Panorama”. A ben guardare proprio in questa sezione c’è l’unico film parzialmente italiano della Selezione: Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino (co-produzione internazionale girata in inglese) che dopo i trionfi critici al Sundance approda in Europa. E se l’Italia ripartisse proprio da Guadagnino e Canonero? Ovvero dalla coltivazione del talento in contesti internazionali, nell’apertura delle proprie frontiere produttive e creative al di là delle Alpi e degli oceani, come Sorrentino e Garrone certo, che sono due colossi, ma anche come Costanzo, o anche i Resinaro e Guaglione di Mine, i molti tecnici o i tanti bravi documentaristi. Una coltivazione che può dare semi fertili da riportare in patria, sperando in un terreno più accogliente ad attenderli.