Il re della ragione in una serie irrazionale
Trovare momenti da ricordare all’interno della quarta stagione di Sherlock non è difficile. Per esempio, il flashback in cui Moriarty scende da un elicottero sulle note dei Queen. Ma proprio quella scena è indice della gigioneria con cui Steven Moffat e Mark Gatiss hanno trasformato la serie dal giallo contemporaneo delle prime due annate al confuso mix di action e parafrasi super-eroistica delle due ultime due (discutibile special natalizio incluso).
Sherlock e Watson devono affrontare la depressione dopo la morte di Moriarty e ritrovare un’intesa dopo il lutto con cui si chiude la première. In pratica, Moffat e Gatiss sembrano gli investigatori di cui scrivono, ai quali serve un super-cattivo a tutti i costi altrimenti perdono il gusto delle cose e la loro identità: e così passano 3 episodi cercandone uno che però non sarà mai quello giusto. Come ai protagonisti, ai due autori non bastano più i casi, gli intrighi, le indagini: serve il baraccone, gli spiegoni inzeppati di salti mortali, l’impossibile che diventa faticosamente probabile, la costruzione di un’infinita mitologia che possa sublimarsi in scene d’azione che cercano di giocare su un terreno hollywoodiano. Al bando criminali e assassini, servono i big bad degni di 007 o della Marvel, altrimenti il gusto ludico di chi scrive – e che si riflette nei personaggi – non si appaga. È una nuova regola del gioco, non facile da accettare e nemmeno facile da costruire viste le difficoltà e la mancanze della stagione precedente proprio a livello spettacolare e di tensione narrativa. Stavolta, il gioco riesce meglio: gli episodi sono ben strutturati e realizzati, i meccanismi funzionano e a livello primario la suspense e la voglia di sapere come vanno a finire gli episodi sono alte (il giochino in stile Saw di The Final Problem). Quello che non regge è il senso che la serie ha acquisito agli occhi dello spettatore, i modi in cui cerca di sedurlo sempre più sopra le righe. Più che un racconto, Sherlock è diventato il veicolo per la soddisfazione degli ego dei suoi creatori che devono rendere ogni minimo elemento sempre più intelligente e più eccessivo, ogni scelta visiva sempre più roboante e magniloquente: anche nei dettagli, deve sempre essere presente allo spettatore che quei due (personaggi o autori poco importa ormai) sono i più bravi e scaltri. E così una serie e un protagonista che hanno fatto della razionalità minuziosa e scientifica una bandiera si tramutano in fuochi d’artificio, sorprese impossibili, deus ex machina in cui la logica del racconto si piega in nome dello stupore gratuito. Ma a furia di voler stupire, Sherlock perde il controllo sulla materia del racconto, diventando un prodotto di elevatissima fattura tecnica, ma stucchevole. E se al timone di comando non si ha voglia di cambiare rotta, non dispiacerebbe poi troppo se la quarta fosse l’ultima stagione.
Sherlock [id., Gran Bretagna 2010-in corso] REGIA Steven Moffat, Mark Gatiss.
CAST Benedict Cumberbatch, Martin Freeman, Mark Gatiss, Rupert Graves.
Thriller/Giallo, durata 90 minuti (episodio), stagione 4.