SPECIALE HOLLYWOOD MUSICAL
Audrey, una lady molto più che fair
I toni del primo fortuito incontro tra il Professor Higgins ed Eliza Doolittle sono tutto fuorché pacati: lei, intenta a vendere mazzetti di violette alle signore dell’alta società uscite da teatro, va su tutte le furie quando − credendolo erroneamente un poliziotto − lo scopre indaffarato a celarsi dietro le colonne mentre annota minuziosamente quanto lei dice.
Svelato il misunderstanding, rimane rapita dall’ascendente col quale l’esperto di fonetica di fama internazionale plagia facilmente la folla di londinesi accorsa per assistere al loro sproloquio. L’indomani Eliza si presenta dal professore per proporgli degli “afferi personalmente riservati”, decisa ad apprendere l’arte del suo “parlare delicheto” così da smettere i panni della fioraia di strada e diventare commessa in un negozio. Higgins (studioso geniale ma assai burbero con la gente) e il colonnello Pickering (ex militare dai modi gentili nonché appassionato di glottologia) decidono di accontentarla ingaggiando una bizzarra scommessa: trasformarla, in soli sei mesi, a suon di fonetica, grammatica ed etichetta da rozza popolana in una lady raffinata capace di ammaliare i rampolli nobili di Londra. A mutare profondamente sarà però anche il cuore ricoperto di peli – come lo definisce eufemisticamente Eliza – dello sprezzante pigmalione. Muovendo i passi dal musical portato con successo in scena a Broadway negli anni Cinquanta e dalla precedente trasposizione cinematografica di Pigmalione curata dallo stesso Shaw, My Fair Lady di Cukor catturò fulmineamente l’attenzione mondiale ancor prima di uscire sul grande schermo per la mancata riconferma della allora giovanissima Julie Andrews, che a teatro aveva stregato tutti con la sua voce, a favore della più affermata Hepburn, che non andò giù né al pubblico né alla critica. Quando poi trapelò che l’attrice sarebbe stata supportata dall’ugola di una ghost singer – scelta che contrariò profondamente pure Audrey – si scatenò un putiferio che contribuì a farla escludere dalle nomination per gli Oscar (mentre il film fece comunque incetta di riconoscimenti). Al di là di tutti i rumour, lo stato di grazia dell’intero cast davanti e dietro l’obiettivo è palese: chi, se non Cukor – il regista per antonomasia delle donne – e la Hepburn, dotata di una innata fragile grazia, poteva riuscire nell’ardua impresa di dare risalto e spessore a quest’araba fenice che parla cockney e sogna il riscatto sociale lontano dal mercato di Covent Garden? Le irresistibili melodie del sodalizio Lerner/Loewe e gli scenari fastosi uniti all’eleganza solo apparentemente altera di Rex Harrison, re di nome e di fatto delle commedie leggere anglofoni, consacrano di fatto questo musical hollywoodiano tra i più amati di tutti i tempi.
My Fair Lady [id., Gran Bretagna/USA 1964] REGIA George Cukor.
CAST Audrey Hepburn, Rex Harrison, Stanley Holloway, Wilfrid Hyde-White.
SCENEGGIATURA Alan Jay Lerner (tratta dall’opera Pigmalione di George Bernard Shaw). FOTOGRAFIA Harry Stradley Sr. MUSICHE Frederick Loewe.
Musicale/Commedia, durata 170 minuti.