Mistero della fede
Silence prende inizio da una necessità difficile da accettare, da qualcosa che probabilmente ha poco senso da un punto di vista spettatoriale. Due preti gesuiti partono verso il Giappone per smentire la notizia che il loro mentore, padre Ferreira, ha abiurato la fede. Una missione sostanzialmente suicida, data la tremenda persecuzione cui i cristiani erano oggetto nel 1600 in Sol Levante, e ancora di più perché da anni non ci sono più notizie dallo stesso padre Ferreira.
Silence parte da uno spunto che, oggi, non tutti potrebbero giustificare, la necessità di comprovare la fede di una persona situata all’altro capo del mondo, e di essere presenti per chi crede in Cristo ma è costretto a professarlo in segreto. Non c’è più speranza di convertire la popolazione, non c’è margine per agire liberamente, la missione è dichiaratamente fin da subito un qualcosa d’inspiegabile razionalmente che sfugge alle logiche del racconto. Silence è un film importante proprio per essere nato da una necessità che trascende le regole del racconto più comuni, senza manifestare i bisogni personali per giustificare se stesso. I due non lo intraprendono per sé (già convinti della fede) o per gli altri (il Giappone è un Paese già perduto) o per lo stesso padre Ferreira (un fantasma avvolto solo da speculazioni), ma il senso si situa nell’idea stessa di non avere uno scopo preciso e si rivelerà – o si mostrerà nella non rivelazione, dipende dai punti di vista – in quel silenzio di Dio che fin dal titolo raccoglie tutto il senso (o non senso) della fede nella pellicola. È il paradosso della fede a essere manifesto: credere incorrottamente a qualcosa di cui non avremo mai prova tangibile, neanche quando le torture fisiche mettono allo stremo le persone, e dalle quali ci si potrebbe liberarsi “solamente” appoggiando il piede su un santino. Scarto tra corpo e spirito che sarà la chiave di tortura invece per uno dei due padri missionari. Si capisce allora la lunga attesa di Scorsese prima di realizzare Silence, dettata appunto da una necessità, quella di affrontare apertamente, ricco di criticità e dubbi, un discorso sulla fede di fondo incrollabile. Il mistero della fede è e deve rimanere tale, anche e soprattutto per chi lo vive laicamente e in un certo senso scetticamente. Per questo il vero fulcro del racconto si rivela essere un personaggio secondario, Mokichi (interpretato da Shinya Tsukamoto), un ubriacone cristiano che più volte ha rinnegato la fede, ma ripetutamente torna a cercare il perdono tramite la confessione, e che sarà fautore di tutte le disgrazie dei due preti. Come un piccolo Giuda, traditore per propria convenienza, si cela il segreto di un’amore spirituale che richiede l’odio terreno per essere compreso, e provare sulla propria pelle la difficoltà di una delle prerogative cristiane, amare il prossimo tuo come se stessi, a dispetto di tutto. Silence è un film immenso proprio per la sua silenziosità e discrezione, oggetto di una necessità inspiegabile razionalmente, sia nel rapporto con la fede che cinematograficamente, ed esempio di un cinema che solo raramente si è visto.
Silence [id., USA 2016] REGIA Martin Scorsese.
CAST Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Shinya Tsukamoto.
SCENEGGIATURA Martin Scorsese, Jay Cocks. FOTOGRAFIA Rodrigo Prieto. MUSICHE Kim Allen Kluge, Kathryn Kluge.
Drammatico/Storico, durata 161 minuti.
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