Aridatece Rambo
Guardare The Birth of a Nation ha senso solamente come pretesto e punto di partenza per fare un bilancio, ahimé tutt’altro che positivo, tanto del cinema buonista dell’era Obama, quanto dell’indie americano di provenienza Sundance.
Ci si augura che, con l’ascesa al trono di “uomo più potente del mondo” di Donald Trump, arrivi presto a salvare i nostri cuori annoiati di Millennials dal politicamente corretto un’ondata di film tamarri e ultraviolenti – ma con la giusta dose di ambiguità dell’immagine e quindi senza la monolitica seriosità del cinema impegnato –, pari a quella degli anni Ottanta reaganiani, oggi oggetto di un revival esplicito. Una rinascita del cinema action più deteriore e ignorante, un nuovo mainstream estremista, che per reazione costringa i filmmaker “alternativi” a liberarsi dell’estetica hipster delle musichette bizzarre, delle famiglie pazzerelle, delle sceneggiature cerchiobottiste, da sepolcri imbiancati, scritte apposta per gli Oscar, e a tornare ad un cinema libero davvero, grunge, à la Clerks. Ci saranno così risparmiate delusioni come Selma e Fruitvale Station, dove, come nel film scritto, diretto e interpretato da Nate Parker, i deficit di sguardo erano evidenti. Tanto ormai il cinema “adulto” e politico, erede della New Hollywood, che i grandi studios non vogliono più produrre, è confluito nelle serie tv, dove non è affatto difficile trovare prodotti di qualità. Se cinema religioso dev’essere, che sia almeno visionario e posseduto, come quello che germina inarrestabile dagli opposti temperamenti di Mel Gibson e Terrence Malick. Se si guarda al romanzo storico, che almeno si abbia il rigore, la raffinatezza e la cura dei dettagli del Lincoln spielberghiano. Se si vuole rappresentare il razzismo da sempre dilagante negli States, che ci si ricordi anche della forma, dello stile, della necessità di rielaborazione di un immaginario pop condiviso, come fanno i nemici Spike Lee e Tarantino. E invece l’unica idea interessante, in The Birth of a Nation, è quella di vestire i padroni bianchi quasi sempre di nero e gli schiavi neri di colori chiari. Per il resto, la luce violenta e caravaggesca della fotografia risulta inutilmente estetizzante, banalmente pittoricistica, finalizzata solo a conferire un valore “arty” al film. A livello di movimenti di macchina, ralenti e zoom alla “viva il parroco”. Scelte musicali telefonatissime, visto il tema del film, e usata come semplice accompagnamento gospel, Nina Simone. Cast di attori anonimo, personaggi senza spessore. E il pessimo gusto della scena del bimbo impiccato, con la farfalla sul petto: premio “Telefono Azzurro” dell’anno, ex aequo con la copertina del Manifesto con il bimbo siriano annegato e con la lacrima di sangue di Fuocoammare.
The Birth of a Nation – Il risveglio di un popolo [The Birth of a Nation, USA 2016] REGIA Nate Parker.
CAST Nate Parker, Armie Hammer, Penelope Ann Miller, Aja Naomi King.
SCENEGGIATURA Nate Parker. FOTOGRAFIA Elliot Davis. MUSICHE Henry Jackman.
Drammatico, durata 120 minuti.