34° Torino Film Festival, 18 – 26 novembre 2016, Torino
SPECIALE TFF34
Il tormento e l’estasi
La pioggia, come uno stato dell’anima, scende copiosa e impietosa per le strade di Manila. Nella melma e nel fango, fra baraccopoli abitate da un’umanità dimenticata dal mondo, incocciamo quasi casualmente in Ma’ Rosa, matrona di una numerosa famiglia. Una donna energica, consapevole, che gestisce legalmente un negozio/drogheria e al contempo spaccia stupefacenti per mantenere il marito e i quattro figli.
La Storia del Cinema filippino – siamo sicuri non sia un mistero per nessuno – non è mai stata “importante”, meritevole degli onori della cronaca. Gli annali ricordano solo Lino Brocka, capace fra i ’70 e i ’90 di superare i confini nazionali e portare i suoi lavori al Festival di Cannes. È forse comodo oggi come oggi parlare di “nuove onde” (la New Weird Wave greca, il New Mexican Cinema), eppure sembra ormai evidente che le Filippine stiano vivendo una rinascita culturale e artistica senza precedenti, guidata dal trio Lav Diaz-Brillante Mendoza-Erik Matti. Un’idea di cinema animata dalla stessa forza centripeta: l’obiettivo è lo sguardo ostinato verso il reale, verso una “verità dell’immagine” che denunci e ponga al centro la corruzione di uno stato abbandonato al proprio destino. Ognuno lo fa secondo un personale approccio alla Settima Arte: laddove la proposta di Erik Matti (The Arrival, Honor Thy Father) è più apertamente pop, votata alla visione e alla condivisione in sala, Lav Diaz impone un’esperienza fluviale, da video-arte, che “registra i minimi dettagli della realtà senza volerle aggiungere significati che l’immagine non abbia già in sé” (Erasmo De Meo su Figli dell’uragano). E poi c’è Brillante Mendoza, le cui pellicole vengono contese ormai da più di 10 anni da Berlino, Cannes e Venezia, e criticate aspramente per un presunto “eccesso” di realismo. Cuore pulsante della poetica mendoziana è il relativismo della normalità, filtrato spesso da un punto di vista femminile. La cinepresa di Brillante non si ferma mai: stringe claustrofobicamente sui volti, indugia sul dolore o sulla sequenza scabrosa e indecente, esibendo una ricercata assenza di professionalità. Non sfugge a questa logica Ma’ Rosa, ennesimo tassello di un mosaico “scandaloso” formato da almeno due capi d’opera (Kinatay e Lola, entrambi del 2009), da un paio di tonfi (Pantasya e Sapi) e da una certezza: la coerenza di un regista che immerge i propri protagonisti in una “etica dello sguardo” divenuta ormai ampiamente riconoscibile, che nausea e attrae, gettandoci in un vortice di miseria e insieme di vitalità, di tormento e di paradossale estasi. Come il volto di Ma’ Rosa al termine della sua lunga e kafkiana notte da incubo, nel momento in cui perdere tutto significa anche restare pervicacemente attaccati al flusso della vita.
Ma’ Rosa [Id., Filippine 2016] REGIA Brillante Mendoza.
CAST Jaclyn Jose, Andi Eigenmann, Julio Diaz, Mercedes Cabral.
SCENEGGIATURA Troy Espiritu. FOTOGRAFIA Odyssey Flores. MUSICHE Teresa Barrozo.
Drammatico, durata 110 minuti.