Il genio parla a se stesso
Genius, il genio, la genialità: molti uomini ne sono stati dotati, di pochi se ne conserva memoria. Thomas Wolfe è stato sicuramente un genio del suo tempo, una voce vitale, imponente e fluviale dell’America in prosa. Ma oggi ricordiamo Hemingway, ricordiamo Fitzgerald, qualcuno per fortuna ancora legge Faulkner, ma Steinbeck? E Caldwell? E Sinclair Lewis? Chi si lascia ancora sedurre dal loro realismo misterioso, magico, quasi mitologico?
Partendo dal libro di A. Scott Berg Max Perkins: editor of genius, Grandage e collaboratori hanno voluto restituire memoria, onore ed attenzione a Wolfe, scrittore morto per una malattia imprevedibile come le sue pagine, e nato 38 anni prima, lontano dai clamori, in una cittadina della North Carolina, con l’ambizione di raccontare la sua nazione intera e di dare a ciascuno dei suoi connazionali la possibilità di ritrovare una scintilla della sua vita nel suo infuocato periodare. A controllare, indirizzare e rendere pubblicabili le sue smisurate idee è stato l’editor più importante di quegli anni, scopritore e promotore di non pochi dei nomi suddetti: Max Perkins. Diede a Wolfe moltissima fiducia e vide in lui qualcosa che superava il tempo e diventava universale, vide il genio all’opera. Ma se il genio è assimilabile ad una forza oltre la natura che di tanto in tanto si prende la briga di “realizzarsi” in qualche opera, l’uomo che ne porta il fardello è costretto a confrontarsi coi limiti della sua condizione finita e reale: ecco Fitzgerald di fronte alla follia di Zelda, Hemingway di fronte ad esperienze sempre più al limite e sempre meno eccitanti, ecco Wolfe di fronte alla vita reale, che non sa gestire e controllare, in uno sperpero di relazioni e di affetti e in un eccesso di dolori ed esaltazioni non richiesto ad una vita comune. Di fronte a tutto ciò Grandage, regista teatrale alla sua prima prova nel cinema, fa, al contrario di Perkins, il lavoro del cattivo editor: pone limiti al vitalismo, all’idea smisurata e così stravolge i personaggi piegandoli agli attori, inverte eventi storici come fossero finzioni in climax, taglia l’essenziale e lascia il decoro, oscura il quadro e fa brillare la cornice. In Genius non c’è la verità dello scrittore, non ci sono i caratteri ma solo le fisionomie, le urgenze artistiche di Wolfe sono manierismo per letteratura di quart’ordine, le relazioni tra gli individui sono pose da scena. Come accadde spesso a Perkins viene il dubbio che il lavorio sull’opera, in questo caso sulla vicenda Wolfe, invece di esaltare e raffinare il materiale grezzo, lo abbia fatto svanire. Firth, Law e la Kidman avrebbero saputo nobilitare la grandezza di Wolfe, ma con una regia così dimessa sono abiti che si muovono su figure invisibili.
Genius [id., USA/Gran Bretagna 2016] REGIA Michael Grandage.
CAST Jude Law, Colin Firth, Nicole Kidman, Makenna McBrierty.
SCENEGGIATURA John Logan. FOTOGRAFIA Ben Davis. MUSICHE Adam Cork.
Biografico, durata 104 minuti.