La fattoria degli umani
Ci sono diversi modi di raccontare una storia nel mondo videoludico. Molto tradizionalmente, facendo tesoro del linguaggio cinematografico intervallando l’azione con le cut-scene, altre volte si diviene in prima persona protagonisti attraverso le proprie azioni e altre volte lasciando che siano il contesto e l’ambiente a raccontarsi.
La capacità straordinaria dei Playdead, nel nuovo Inside come lo era nel precedente Limbo, è quella di non raccontarci una storia ma calare il giocatore in un mondo. Visivamente minimale, il loro primo lavoro era realizzato interamente di ombre in un microcosmo spaventoso e fantastico; qui invece ci troviamo in una società distopica in cui il controllo dei singoli (trasformati in lobotomizzati) è l’elemento principe. Ambientato in un universo abbandonato e fatiscente, nel quale le costruzioni sono a noi riconoscibili (fattorie, capannoni abbandonati, laboratori sommersi) ma sulle quali aleggia un’aria dismessa, quasi come se tutto rimandasse a un’enorme fabbrica o laboratorio dell’umano controllato. Sempre basato sulla scala di grigi, l’unico punto davvero colorato proviene dalla maglietta del ragazzo controllato dal giocatore, alla ricerca di una salvezza. Non è un caso che come in Limbo, anche Inside ci metta nei panni di un giovane incastrato nella brutalità di un mondo disumanizzato e meccanico. È il contrasto tra la semplicità quasi naïf di un’esistenza scevra da malizia come quella di un ragazzino dalla muta innocenza (che si riversa per forza di cose nel gameplay) e la complessità brutale di un mondo autoritario orwelliano, a cui si sommano i tagli netti di luce che tanto devono a de Chirico, e gli spazi mastodontici, in secondo piano, di un Piranesi, che creano visivamente un impatto perfettamente in equilibrio tra superficiale semplicità ed elaborata stratificazione. Una semplicità che si riversa una volta impugnato il controller, che richiede l’uso solo della levetta analogica per muoversi, un tasto per saltare e uno per interagire con gli oggetti, proprio come in Limbo. A differenza di quest’ultimo però, Inside si sviluppa sempre bidimensionalmente – anche se qui la terza dimensione è illusoriamente presente – accentuando la natura puzzle del videogioco e meno quella piattaforma, con enigmi basati principalmente sul timing di reazione agli eventi circostanti, cui però accentuano la natura trial and error del gameplay. Inside rappresenta un titolo completo, conferma le assolute doti dei Playdead nel creare realtà avvolgenti, nel raccontare senza diventare schiavi della narrazione e in particolare nell’interpretare il medium non passivamente ma coinvolgendo attivamente l’utente in un multiverso vibrante, come può essere una fiaba, semplice e terrorizzante nel profondo.
Inside [id., Danimarca 2016] SVILUPPATORE Playdead.
DISTRIBUZIONE Playdead. PIATTAFORME PC, Playstation 4, Xbox One.
Piattaforme, Rompicapo.