La vita vera
Caro Ken, come stai? Innanzitutto scusa se ti do del tu, ma penso che non ti offenderai. Ti scrivo per spiegarti perché, a mio parere, ti abbiamo dedicato uno Speciale qui a Mediacritica. Certo, è uscito il tuo nuovo film Io, Daniel Blake, con il quale hai vinto la Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes… ma c’è altro.
Sarà adulatorio dirlo, ma ti sento vicino, vicino ai miei gusti cinematografici ma soprattutto al mio modo di vedere la vita. Sei stato etichettato come un regista “di parte”, comunista, socialista, sempre con grado denigratorio. Ma in realtà sei uno dei pochi a sposare l’idea primordiale del cinema: raccontare il presente attraverso la potenza e l’espressività della finzione. Hai avuto coraggio cercando di non seguire le logiche commerciali, fregandotene e facendo sempre il “tuo” cinema. Non dimentichi da dove vieni, i bassifondi inglesi, e li racconti senza moralismi o fronzoli, come i Dardenne. Usi la tragedia nel suo più puro e nobile significato: il dramma come mezzo per aspirare alla crescita morale e sociale dell’uomo. Rimani umano, nonostante tutto. Dal fondo non si può più scendere, non resta che risalire con dignità. Sai qua nel nostro Paese spesso ci si dimentica di questo, siamo tutti pronti a fare le scarpe al prossimo e il socialismo (o comunismo “illuminato”, vedi tu) scarseggia. Avremmo bisogno di te, per raccontarci e farci aprire gli occhi sulla carenza della lotta sociale. Qualcuno tenta di ripristinare il neorealismo, ma viene subito vessato come regista palloso e “invendibile”. Hai stupito tutti a maggio, riuscendo a vincere con i tuoi 80 anni vissuti in “trincea”, sbaragliando la concorrenza di registi più giovani e in apparenza più agguerriti di te. In punta di piedi ci hai schiaffeggiato con un racconto che nasce e vive dal popolo. E Daniel diventerà un altro nostro amico con cui dialogare come Joe, Paul, Mick e gli altri, la Maggie di Ladybird Ladybird, la Angie di In questo mondo libero… Uomini e donne che lottano con ambizione e coraggio, e che da soli, alla fine, la spuntano. La tua costruzione narrativa, e di conseguenza la tua messinscena, è spesso tradizionale, ma sempre attenta a non far passare per semplici loser i tuoi personaggi. Le storie anarchiche (perché spontanee) sono supportate dall’oggettività della macchina da presa che pedina il contesto con sensibilità. Non ascoltare chi ti descrive come un politicante che si nasconde dietro l’opera filmica. È ottuso chi ancora pensa che le nostre azioni non siano politiche. Ogni cosa che si fa è politica, dal giornale che si legge ai film che si vedono, dal negozio in cui si acquista il pane alla musica che si ascolta. Banale? Ok, sì, ma certo. Continua così fino a che ne avrai voglia, e frequenta ancora la vita vera. A presto.