Highway to Hell
La strada rappresenta da sempre uno degli scenari più suggestivi per il genere horror, luogo di finta sicurezza dove niente di male potrebbe accadere perché l’abitacolo di un’automobile o la sua velocità vengono visti come protezioni. Allo stesso tempo è anche luogo principale degli imprevisti: un guasto alla macchina, la comparsa di un passeggero, un incidente o una semplice sosta di rifornimento, insomma il dover bloccare il proprio viaggio rappresenta l’inizio di un guaio dalle conseguenze spesso sono funeste.
Southbound mostra di essere una pellicola a episodi atipica strutturalmente, paradossale nella sua circolarità, con un intreccio narrativo estremamente compatto. A differenza di tante altre pellicole a episodi horror (pensiamo a saghe recenti come V/H/S e The ABC’s of Death) ogni segmento non resta in un scompartimento stagno: viene a crearsi un intreccio di vicende che non condividono solamente un elemento narrativo di trait d’union – come ad esempio la videocassetta in V/H/S – ma un mondo in cui l’inferno sembra aver preso vita solo per alcune anime perdute. Ambientato lungo una strada del deserto statunitense, Southbound possiede un elemento di unificazione potente: tutti i personaggi hanno sulla coscienza la morte di una persona. Una coppia di rapinatori, una band di ragazze, un uomo solitario di ritorno dal lavoro, un fratello in cerca della sorella e una famigliola in viaggio sono i protagonisti di questo viaggio verso un mondo infernale che si attorciglia su se stesso. Ognuno di essi finisce in un loop stradale da cui è impossibile uscire, perseguitati dalla propria coscienza e da una serie di entità mostruose il cui unico scopo sarà quello di torturarli. Southbound mostra il pregio migliore nell’intreccio creando un mondo stratificato di realtà sovrapposte e paradossali, in cui non esiste un confine tra realtà comune e realtà infernale perché i due mondi traspirano, seppur una volta fatto il passaggio sia impossibile uscirne. Detto ciò, i singoli episodi soffrono però di un certo senso di stantio, giocando sì con i sottogeneri dell’horror (il road movie appunto, ma anche con il gore o il vengeance movie), ma solo raramente trovano una loro personalità. Forse l’unico episodio che visivamente ha un suo perché, abbandonando narrativamente la mano dello spettatore, è Jailbreak, ma gli altri vivono quasi più per i raccordi tra una storia e l’altra. Insomma Southbound presenta tutto il contrario delle altre pellicole dello stesso genere, cercando la quadra nell’intento di uniformare i propri racconti in maniera strutturale, ma si perde vistosamente negli aspetti individuali, in cui le singole storie sembrano più un compitino che il soddisfacimento di un bisogno ludico di raccontare l’orrore.
Southbound [id., USA 2015] REGIA Radio Silence, Roxanne Benjamin, David Bruckner, Patrick Horvath.
CAST Chad Villella, Matt Bettinelli-Olpin, Fabianne Therese, Mather Zickel, David Yow, Kate Beahan, Susan Burke.
SCENEGGIATURA Matt Bettinelli-Olpin, Dallas Hallam, Patrick Horvath, David Bruckner, Roxanne Benjamin, Susan Burke. FOTOGRAFIA Tyler Gillett, Tarin Anderson, Alexandre Naufel, Andrew Shulkind. MUSICHE The Gifted.
Horror, durata 86 minuti.