SPECIALE WERNER HERZOG
Rosso come il sangue, bianco come la paura
Che colore ha la paura? Istintivamente qualcuno potrebbe rispondere rosso, come il sangue, oppure nero, come la notte il cui buio che cela l’orrore, oppure il verde rancido di un corpo in decomposizione. Ma se fosse il bianco, colore puro per eccellenza, candido come è Lucy, interpretata da un Isabelle Adjani quasi fantasmatica, o come la pelle cadaverica del vampiro Nosferatu di Klaus Kinski, figura intrisa di una triste e rassegnata alterità?
Se Herzog nel suo Nosferatu, il principe della notte utilizza il bianco sui suoi protagonisti caricandoli di una dicotomia che li pone contemporaneamente agli antipodi ma fatalmente legati l’uno all’altra, a partire proprio dai sogni premonitori di Lucy fino a una malattia che sembra abbracciare la donna fin dalle prime battute, il bianco che avvolge fotograficamente la pellicola crea un surplus visivo di minor facilità interpretativa. La luce neutra, quasi mai veramente calda o fredda, esasperata dalla asetticità degli intonachi degli interni e da un cielo in cui il sole sembra essersi defilato completamente, abbraccia la pellicola lasciandola sospesa nel biancore irrequieto, abbandonando la vicenda in una sorta di limbo privo di emozioni. Parlare del bianco come colore della paura in questo caso sarebbe sbagliato allora, ed è vero che lo sguardo che Herzog dona alla pellicola è in un certo senso sbarrato di fronte a una realtà mostruosa: in questo senso lo sguardo di Lucy perfettamente si allinea a quella irrequietezza emotiva che inquieta per intero la pellicola… ma la paura in Nosferatu è altro. È una pellicola che preferisce spogliare visivamente le venature orrorifiche tardo-romantiche che il capolavoro di Murnau possedeva e ancor più il testo originario di Bram Stoker, senza però ovviamente rinunciare alla potenza di alcune immagini diventate iconiche nella storia del cinema (in particolare rovesciando l’abbraccio di Nosferatu, durante il quale Lucy nella notte si lascia ghermire). Il Nosferatu di Herzog non è un mostro, ma il frutto di una natura che per forza di cose non è buona o cattiva, un demone discreto che muore come uno scarafaggio rannicchiato, orrendo da vedere ma dalla cui sua natura non può fuggire. Le creature della notte che si scatenavano nell’originale, qui invece sono un preludio – come L’oro del Reno di Wagner sta a sottolineare – alla realtà di un male che esiste indipendentemente dalla propria volontà, come rassegnazione alla propria natura. È questa la vera paura che la neutralità del bianco cela nel film. Per questo il Nosferatu di Herzog è un capolavoro capace di rapportarsi con sfrontatezza alla storia del cinema senza subirne la devozione, riappropriandosi di un testo sia visivamente che narrativamente, il tutto mantenendo inalterato il testo originario, in una discrezione scioccante: l’orrore nella sua accezione più neutra.
Nosferatu, il principe della notte [Nosferatu: Phantom der Nacht, Germania Ovest 1979] REGIA Werner Herzog.
CAST Klaus Kinski, Isabelle Adjani, Bruno Ganz, Roland Topor.
SCENEGGIATURA Werner Herzog. FOTOGRAFIA Jörg Schimdt-Reitwein. MUSICHE Popol Vuh.
Horror, durata 107 minuti.