SPECIALE WERNER HERZOG
“La terra che io calpesto mi vede e trema”
“Nessuno di noi arriverà vivo laggiù”: così dice Lope de Aguirre, un immenso Klaus Kinski, attore feticcio e protesi corporea del pensiero di Werner Herzog, regista tedesco innamorato di quelle storie che narrano di coloro che si scontrano contro la natura e contro Dio. Il 1560, la missione dei conquistadores, la foresta amazzonica. Un torrente furioso, vette altissime, nebbia impalpabile e una fila di uomini che, stremati, tentano di raggiungere l’Eldorado.
Al centro di Aguirre c’è la spedizione nel cuore dell’Amazzonia, in cui la natura prorompe ed erompe, ma c’è anche un potente racconto nel punto più profondo dell’animo umano in cui ci sono i sogni infranti e i fallimenti. Herzog racconta tra macchine a spalla, semi-soggettive e soggettive la fusione di Aguirre con il naturale, il cuore di tenebra di un uomo che non comprende i suoi limiti; il regista ci butta addosso la pelle di un uomo che non ha e non conosce divinità. Ci sono la natura e l’uomo in Aguirre, furore di Dio, primo film in cui il cineasta lavora con Kinski, c’è in un gioco di opposti un realismo onirico che mostra e dà profondità. Ci sono il fallimento pronto ad esplodere e il paesaggio in cui implode e conflagra lo sguardo di Aguirre (e anche il nostro). «La terra che io calpesto mi vede e trema»: il protagonista è un folle, un dio che si crede Dio, un Riccardo III insaziabile di potere che giganteggia in un legame struggente con ciò che gli sta intorno («Se io Aguirre voglio che gli uccelli cadano fulminati, gli uccelli devono cadere stecchiti dagli alberi»). È la natura a portare il capo alla follia quando quest’ultimo si accorge di non poterla dominare né arginare. Il protagonista è animale brutale e anche torrente, simbolo di una natura vorticosa e potente, che poderoso muove di fronte a noi. Il furore di Dio non attacca, non ammazza, ma guarda (incredibilmente il racconto della sua parabola avventurosa è, nonostante tutto, piuttosto statico, si immerge nella pura visione sprofondando nella natura, meravigliosa ma anche nemica, ed è proprio quest’ultima a muovere la narrazione, come anche lo spirito del capobranco), vuole sentirla, partecipare ad essa in una sorte di mitsein. Questo è ciò a cui Herzog è da sempre interessato: mostrare la visione, e tale estasi ci viene consegnata grazie all’occhio del furore di Dio che si perde in un ipnotico incubo che ha il suo apice nella scena finale. Il protagonista è l’unico tra i vari personaggi ad entrare nel paesaggio, per capirne fino in fondo il significato, fondendosi con esso. Francis Ford Coppola ha detto di essersi ispirato al capolavoro del regista tedesco per Apocalypse Now, per il Time è uno dei 100 film migliori di tutti i tempi. Aguirre, furore di Dio è pura meraviglia.
Aguirre, furore di Dio [Aguirre, der Zorn Gottes, Germania Ovest 1972] REGIA Werner Herzog.
CAST Klaus Kinski, Helena Rojo, Ruy Guerrav, Peter Berling.
SCENEGGIATURA Werner Herzog. FOTOGRAFIA Thomas Mauch. MUSICHE Popol Vuh.
Drammatico, durata 100 minuti.