VENEZIA 73 – IN CONCORSO
Godimento alieno
Una cinematografia lontana dalle rotte classiche del cinema mainstream, uno stile molto personale che si fonda sulla libertà narrativa e sulla crudezza delle immagini, la capacità di scandalizzare e spiazzare gli spettatori, il tutto accompagnato da un certo autocompiacimento del regista nel giocare con il pubblico. Numerosi esempi si potrebbero fare su questo “filone”, uno dei più canonici “generi da festival”, ma, per intenderci, citiamo un titolo che è tra i risultati più recenti ed esemplificativi: Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti del thailandese Apichatpong Weerasethakul (Palma d’Oro a Cannes nel 2010).
A questa lunga scia si è aggiunto quest’anno (pur con alcune nette differenze non solo di provenienza geografica rispetto al lungometraggio sopraccitato) La región salvaje del messicano Amat Escalante, fresco vincitore del Leone d’Argento per la Miglior Regia (ex aequo con Paradise di Andrej Končalovskij). Un riconoscimento, pur opinabile, che forse renderà meno improbabile la distribuzione in sala del film. Potenzialmente ricca di spunti interessanti l’opera di Escalante depotenzia (non estingue) la sua carica perturbante a causa di un’anarchia narrativa che inizialmente rapisce, ma finisce poi per diventare stucchevole, quasi irritante, per come rimanga fine a se stessa, uno sfoggio solipsista nel quale si perde progressivamente interesse per ciò che accade davanti alla macchina da presa. Tentacolare come l’alieno – fusione perfetta di Eros e Thanatos, e vero protagonista, non solo simbolico, della pellicola – il regista fruga nell’intimità dei personaggi umani, mettendoli a nudo nella loro fallacia terrena: sia letteralmente, nelle scene di sesso esplicite che mostrano i corpi senza nasconderne le imperfezioni, sia psicologicamente, con ad esempio l’omofobo Angel e la sua relazione clandestina con il fratello (omosessuale dichiarato) della moglie. Nell’alternanza tra momenti indimenticabili – la possessione sessuale che la giovane mamma Alejandra subisce dall’organismo alieno, un mix perfetto di orrore e sensualità – e scene che sconfinano nel ridicolo – il cratere dove è atterrato l’essere misterioso che si tramuta in un talamo orgiastico di varie specie animali – La región salvaje rimane intrappolato nel suo stesso ingranaggio: così da un lato banalizza le intenzioni di denuncia sociale e di liberazione-riscatto (?) del femminile sul maschile, dall’altro fagocita l’attesa dello spettatore in una qualche svolta di genere (horror su tutti) solo sfiorata dal regista. Ed è un peccato, date le attese create da Escalante con abilità e furbizia (esempio di entrambe l’inquietudine generata dai numerosi e a volte immotivati zoom nelle zone d’ombra della foresta), che il film lasci, anche per colpa di un finale troppo sbrigativo, un senso di perplessità ben superiore a quello di turbamento.
La región salvaje [id., Messico/Danimarca/Francia/Germania/Norvegia 2016] REGIA Amat Escalante.
CAST Ruth Ramos, Simone Bucio, Jesús Meza, Edén Villavicencio.
SCENEGGIATURA Amat Escalante, Gibrán Portela. FOTOGRAFIA Manuel Alberto Claro.
Drammatico, durata 100 minuti.