VENEZIA 73 – IN CONCORSO
Mitologie ambigue
Con Jackie Pablo Larrain supera senza scossoni una prova ricca d’insidie e conferma, se ce ne fosse stato ancora il bisogno, di essere uno dei più importanti autori maturati nell’ultimo decennio. Evita, infatti, le trappole del biopic inamidato e realizza, giocando in un campo decisivo della mitologia statunitense, un’opera ambigua, dolente e stratificata, la cui potenza spesso agisce in sotterranea per riaffiorare prepotentemente in superficie in determinati momenti.
Raccontando di Jacqueline Kennedy nei giorni trascorsi tra l’attentato in cui a Dallas venne ucciso il marito presidente e la sua sepoltura, il regista cileno tratteggia un ritratto sfaccettato di una donna continuamente strattonata da pulsioni diverse e spesso opposte tra loro. In Jackie, a cui dà linfa vitale una straordinaria Natalie Portman (bravissima in particolare a gestire i saliscendi della voce, cosa che speriamo non si perda nel doppiaggio), infatti convivono la forza di chi non vuole perdere il ruolo e l’importanza conquistate e la debolezza di chi si sente sbriciolare la terra sotto i piedi; l’amore per il marito e il dolore per la sua perdita e la consapevolezza che le cose con lui non sono state così rosee come apparenza impone e che anche la sua grandezza aveva zone d’ombra; la sofferenza di chi in qualche modo si è sempre sentita incompleta e sacrificata e la consapevolezza sofferta e a tratti quasi cinica di chi sa che questo sacrificio è necessario. Partendo da questo ritratto, Larrain ragiona sul rapporto contrastante e vischioso tra pubblico e privato e tra potere e apparenza, tematica rafforzata dalla costruzione cronologica non lineare e dai diversi stili con cui vengono rappresentati i singoli spezzoni narrativi: una costruzione più pulita ed elegante nei momenti in cui Jackie si comporta come first lady e appare più forte e decisa, la sgranatura simile ai reportage d’epoca nella ricostruzione dei momenti “storici” e la fotografia sporca e la cinepresa traballante nei momenti in cui la protagonista dà sfogo alla sua sofferenza e alle sue recriminazioni. Così, come nei suoi film precedenti – anche se in maniera più carsica – il regista racconta di un individuo influenzato da eventi storici e politici più vasti, che riecheggiano continuamente nel ritratto del singolo, la cui centralità metaforica è espressa dai frequenti primi piani tipici della sua poetica. Si noti per esempio come, nella sequenza dell’attentato, il corpo colpito di JFK sia in una sorta di fuori campo interno all’inquadratura, e il lume rimane puntato sulla donna protagonista. Le pulsioni opposte tra loro si riuniscono nel finale, seguendo le note del musical Camelot; una chiusa apparentemente serena e conciliante, ma in realtà definitiva e amara prova dell’ambiguità e della sofferenza inevitabili nel rapporto tra consapevolezza privata e apparenza pubblica.
Jackie [id., USA/Cile 2016] REGIA Pablo Larrain.
CAST Natalie Portman, Peter Skarsgaard, Greta Gerwig, Max Casella, Billy Crudup.
SCENEGGIATURA Noah Oppenheim. FOTOGRAFIA Stéphane Fontaine. MUSICHE Mica Levi.
Drammatico/Storico, durata 95 minuti.