VENEZIA 73 – IN CONCORSO
Marcia in asincrono dei sentimenti
Germania, 1919. La guerra è da poco terminata e una ragazza, Anna, si reca sulla tomba del fidanzato Frantz, caduto in battaglia. Un giorno nota un giovane francese, dall’aria distinta, posare un mazzo di fiori sulla stessa tomba. Adrien dice di aver conosciuto Frantz durante il conflitto, ma non è chiaro in quali circostanze.
Al ritmo di un film all’anno, François Ozon riesce comunque a presentarsi, puntuale, all’appuntamento con critica e pubblico senza ripetersi, con opere ogni volta diverse e spiazzanti. Caso raro nel cinema d’autore contemporaneo (David Lynch è fermo dal 2006, Quentin Tarantino ha fatto 10 film in 24 anni, Nicolas Winding Refn latitava dal 2013 fino a The Neon Demon etc.), il regista francese è sbarcato a Venezia, in Concorso, con Frantz, suo primo film di guerra, in bianco e nero e parlato in tedesco. Ozon cambia pelle, lo fa in modo radicale: recupera L’Homme que j’ai tué, lavoro teatrale di Maurice Rostand già portato al cinema nel 1932 da Ernst Lubitsch con L’uomo che ho ucciso; gli dà una patina da mélo contemporaneo; sperimenta sequenze al fronte e, in definitiva, realizza una delle sue opere più emozionanti. Ozon gioca con temi, tipicamente melodrammatici, come la colpa e il perdono per poi “virare verso la desincronizzazione dei sentimenti”. Cosa significa? Che ogni movimento di Anna, la bellissima 21enne Paula Beer, tradisce le sue reali intenzioni: lascia il cimitero per tornare a casa e rientrare nella dimensione del ricordo del fidanzato scomparso, ma in realtà sta camminando verso Adrien, prende il treno per ritrovare quest’ultimo ma sa benissimo che lo sta per perdere. Una desincronizzazione non solo dei gesti, ma soprattutto del montaggio che rompe continuamente le leggi di continuità (la ragazza cammina da sinistra e destra e nell’immagine successiva rientra dalla destra del quadro) e della macchina da presa espressiva che riprende le leggi del cuore, giocando col colore un po’ come Dolan plasmava il formato in Mommy, entrambi sintomi di un’interiorità debordante, di sentimenti più forti del cinema stesso. Prima del finale hitchcockiano (anche qui movimento in asincrono rispetto a Vertigo) che ribalta le aspettative aprendosi ad un nuovo genere, il thriller sentimentale, Ozon racconta e dirige, con coerenza estrema, un melodramma anti-nazionalista, in opposizione ai trattati di Versailles, pacifista, in opposizione a tutte le guerre, e profondamente europeo, in opposizione a Hollywood e alla magniloquenza deflagrante con cui racconta ogni conflitto (vedi Hacksaw Ridge di Mel Gibson, sempre a Venezia 73).
Frantz [id., Francia/Germania 2016] REGIA François Ozon.
CAST Pierre Niney, Paula Beer, Ernst Stötzner, Anton von Lucke.
SCENEGGIATURA François Ozon, Philippe Piazzo. FOTOGRAFIA Pascal Marti. MUSICHE Philippe Rombi.
Drammatico/Storico, durata 113 minuti.
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