35. Premio “Sergio Amidei”, 14-20 luglio 2016, Gorizia
Beata ignoranza
“Che nostalgia di quando eravate tutti imbecilli”, è una delle frasi che riecheggiano all’inizio di ogni “episodio”, quando la cinepresa di Ettore Scola si addentra nella terrazza dove si svolge la cena per poi seguire da vicino le vicende dei singoli personaggi.
È una frase che coglie il senso più profondo del film, da un lato consapevole pietra tombale su una stagione cinematografica – quella della commedia all’italiana – e dall’altro ritratto amaro più che spietato di una classe intellettuale politicamente schierata. Una rappresentazione che diventa, da entrambi i lati, più pregnante e sincera proprio per quel grado di partecipazione e di vicinanza dell’autore, parte attiva di quel mondo culturale e politico e protagonista di quella stagione del nostro cinema. La terrazza, pur non essendo un’opera davvero satirica, diventa così uno dei ritratti più efficaci delle derive superficiali e conservatrici di parte della classe intellettuale progressista. La cultura e l’impegno sono pose con cui da un lato rimanere legati ad un passato di speranza, utopia e coraggio che risuona lontano come la Resistenza per i tre protagonisti di C’eravamo tanto amati e dall’altro diventano uno scudo con cui nascondere, nella classica apparenza pubblica, crisi, smarrimenti, solitudini, ipocrisie e nostalgie private. I protagonisti sono prigionieri della concezione del mondo alla cui costruzione loro stessi hanno partecipato, e vittime della mancata attuazione dei loro ideali. Consapevolmente si comportano come stereotipi, con la conseguente e sempre più gravosa consapevolezza dello scarto tra queste maschere e la realtà e le sue aspirazioni. Stereotipi come molti dei personaggi delle commedie all’italiana coeve, quando il filone – con qualche grande eccezione – nel corso degli anni Settanta era diventato complessivamente meno acuto e più innocuo. Si arriva così alla riflessione su questa stagione, su cui Scola cala il sipario ancora con la lucidità amara e sincera di colui che è stato artefice e protagonista. “Che consapevolezza sociale ha creato il filone?”, “è davvero servito a qualcosa?” pare chiedersi; la risposta è condita da amaro disincanto e dal rimpianto di aver creato un mondo dove “ormai siamo così; personaggi drammatici che si esprimono comicamente”. Decisivo da questo punto di vista è anche il fatto che i personaggi riprendono i caratteri tipici degli attori che li interpretano, in un sottile gioco meta-cinematografico. Ettore Scola si conferma così un sontuoso cantore del disincanto e della morte – che sia quella fisica, quella di una stagione cinematografica o quella degli ideali –, con sincerità crudele e altrettanta pietas; con la cupezza, solo nascosta dal velo d’ironia, di chi davvero pare rimpiangere il tempo in cui eravamo tutti imbecilli.
La terrazza [Id., Italia/Francia 1980] REGIA Ettore Scola.
CAST Vittorio Gassman, Serge Reggiani, Marcello Mastroianni, Jean-Louis Trintignant, Ugo Tognazzi, Stefania Sandrelli, Milena Vukotic, Remo Remotti.
SCENEGGIATURA Age & Scarpelli, Ettore Scola. FOTOGRAFIA Pasqualino De Santis. MUSICHE Armando Trovajoli.
Commedia/Drammatico, durata 155 minuti.