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35. Premio “Amidei”: Intervista a Carlo Verdone

lunedì 18 Luglio, 2016 | di Redazione Mediacritica
35. Premio “Amidei”: Intervista a Carlo Verdone
Festival
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35. Premio “Sergio Amidei”, 14-20 luglio 2016, Gorizia

Semplicemente Carlo
“[…] la sua profonda e raffinata cultura cinefila si è espressa e continua a mostrarsi in tutte le opere che hanno costellato la sua ricca filmografia […], a cui ha saputo unire una capacità di osservazione del reale dando così vita ad un mix esplosivo ed esilarante che è la nota caratteristica della sua arte. Autore a tutto tondo capace di padroneggiare l’intero processo creativo dell’opera filmica dalla scrittura, alla produzione e alla recitazione, Carlo Verdone ha raccolto e trasformato le unità di maestri e amici di eccellenza come De Sica, Fellini, Sergio leone […]”.

Così recita una parte della motivazione al Premio all’opera d’autore del 35. Premio Sergio Amidei di Gorizia. Ed è proprio così Carlo Verdone, un cineasta a tutto tondo, che col cinema è cresciuto e dai maestri ha saputo cogliere degli spunti per modellare la propria idea filmica. Non solo un comico prestato al cinema ma un artista cocciuto che vuole raccontare la realtà, le nostre debolezze e i nostri problemi con un tono tragicomico singolare.
Oltre alla maturità artistica e autoriale che lo spettatore ha potuto vedere negli anni, secondo Carlo Verdone in cosa è cambiato il regista Carlo Verdone da Un sacco bello a L’abbiamo fatta grossa?
È cambiato parecchio, è cambiato perché il tempo mi fa cambiare inevitabilmente. Se mi chiedessero “mi rifai un film come li facevi negli anni ’80?” io rispondo non è possibile, per due motivi: primo, la mia maschera è cambiata; secondo, sono cambiati i tempi.mediacritica_intervista_carlo_verdone_290 Oggi le Sore Lelle non le trovi più, oggi i Mario Brega sono più violenti e meno innocui e educati. È cambiato tutto, è cambiato il mondo, è cambiata Roma, è cambiata l’Italia, è cambiata ogni regione. Esistono ancora poche regioni che riescono a mantenere i propri “personaggi” e le proprie tradizioni. Io cambio in base all’età, in base alla società che cambia… prima scrivevo i film raccontando dei personaggi che trovavo sotto casa, mi servivo delle tipologie come il bullo, il candido, poi ho capito che avrei dovuto raccontare un personaggio unico e ho abbandonato gli episodi. Ad un certo punto credo di aver sviluppato la voglia di condire il divertimento con la malinconia, sono fatto così, è la mia anima, e la mia anima l’ho scritta nel mio libro La casa sopra ai portici. Quel libro è il mio film più riuscito, questo perché là sono stato libero. Quando si scrive un libro si è completamente liberi, non ci sono produttori che ti impongono di far ridere o piangere. Il libro mi ha dato tanta soddisfazione perché il pubblico ha compreso che non stavo scrivendo per fare i soldi, stavo scrivendo per far entrare un po’ di gente nella mia casa natia e nel mio “mondo”. Adesso come sono cambiato? L’ultimo film, L’abbiamo fatta grossa, è il meno verdoniano dei miei film, è una favola, è un film molto libero. Non c’è quello sguardo sulla realtà che c’è sempre stato come per esempio in Posti in piedi in paradiso, che è uno spaccato su un’emergenza reale: tre uomini separati che vivono come studenti. Adesso avevo voglia di sterzare in qualche modo, pur sapendo di dividere il pubblico. Nessuno degli autori che amo (Fellini, Germi, Pietrangeli), ha sempre saputo accontentare il pubblico… però mi preme dire una cosa: cambio, ma alla fine sono sempre lo stesso, non vado a cercare delle cose semplici, magari cerco di cambiare io. Il prossimo film sarà un racconto molto corale con un forte sguardo sulla realtà su un tema che riguarderà la fragilità delle coppie. Mi auguro di riuscire a dare una chiave alla Germi… anche se so già che non ci riuscirò!
Il suo cinema non racconta una bestia rara, ma racconta ciò che siamo noi con tutti i nostri difetti, i nostri tic, le nostre fragilità dalle origini della sua carriera a oggi. Se nei suoi primi film si ispirava al Bar Mariani e a Stefano Natali, cosa è che la ispira oggi?
Prima c’erano tanti personaggi che mi influenzavano col loro mondo. Adesso invece ad ispirarmi sono i temi, gli argomenti. Già con Perdiamoci di vista era successo: mi era arrivata una lettera di una mamma che aveva una figlia di 23 anni sulla sedia a rotelle per colpa di un incidente; questa lettera mi aveva avvicinato al problema della disabilità e mi aveva spinto a studiarlo, a documentarmi. È stato un film in cui ho fatto critica sociale, noi ogni tanto dobbiamo combattere. Poi Posti in piedi in paradiso su un tema sociale; Plastino, tornato da Berlino, aveva comprato un giornale in cui c’era uno scritto sulla fragilità dell’uomo nel momento attuale. Si parlava di questi single, padri separati; era un problema, non solo italiano ma mondiale. Attingo dunque spesso alla stampa, ai giornali, alle inchieste che ci danno degli spunti per tirare fuori una storia.
Quindi è per questo che i suoi film oltre ad essere delle commedie alle volte ciniche, alle volte cattive e alle volte divertenti, sono anche analisi sociali puntellate da malinconie e tristezze?
Certo. La realtà oggi non è una bella realtà. Ha visto cosa sono stati gli ultimi sette giorni, io direi anche dall’inizio dell’anno. Stiamo sprofondando sempre di più nel mondo del male, non si riesce a capire cosa stia succedendo. È una follia, una follia totale tutto quello che è successo a Nizza, in Turchia. Dalla madre che butta i figli dal balcone dell’ultimo piano, dal treno in Puglia con tanti giovani, bambini che se ne vanno così, vengono tanti dubbi sulla spiritualità che io spero di non perdere. Poi penso che alla fine sia colpa nostra, non credo che ce la dobbiamo prendere col Padre eterno, perché tutte queste cose che ho elencato non succedono così. Sì, ci sono delle menti eccitate in questo momento, lontane dalla spiritualità, eccitate dall’odio. Sono essi stessi fragili, depressi e quest’odio si infila dappertutto. Manca il senso etico in questi anni ed è difficile per noi scrivere. Mi hanno chiesto “tutto ciò che avviene non incide in qualche modo nella scrittura?”. Incide eccome; sono momenti in cui invece di dirci mille parole ce ne diciamo cinquanta e ce le diciamo anche sbagliate. Perché? Perché siamo turbati, un po’ depressi, però poi alla fine subentra la professionalità. Si deve andare avanti. Non dobbiamo perdere di vista che la commedia, se fatta bene, è un aiuto che si dà allo spettatore, siamo un antidepressivo, un ansiolitico. Un piccolo aiuto per un’ora e tre quarti. Se la facciamo male, facciamo danni a noi, agli spettatori e al cinema italiano.
Non è un caso in fatti che molti siano i punti di contatto con la commedia all’italiana che era in grado di narrare la tragedia nella commedia e viceversa.
Sì, io mi sono formato nei cineclub. Senza cineclub non avrei conosciuto Amidei, non avrei conosciuto Scola, non avrei conosciuto Germi, non avrei conosciuto nessuno. Poi ho scelto la mia carriera, commedia all’italiana, ma sono sempre stato rispettoso dei grandi.
Nel suo cinema le figure femminili hanno una grande importanza, come mai?
Io vengo da un periodo storico importante, il femminismo. È un movimento che fece saltare tutte le regole che c’erano prima: nei film degli anni ’60 e per parte degli anni ’70 la donna era sempre stata vista come un’oggetto. C’era sempre il protagonista e la bella ragazza di mezzo da conquistare, d’andarci a letto, da rimorchiare, poi improvvisamente è finito il mondo dei rimorchiatori e dell’uomo come protagonista; lo scettro passa alla donna che non è una donna sensuale, è una donna forte. Io e Troisi abbiamo sentito questo cambiamento e nei nostri primi film c’è sempre un personaggio femminile che decide. L’uomo è come un pugile all’angolo che prende cazzotti da una donna. Mi sembrava che questo cambiamento di ruoli fosse importante e i film che preferisco sono proprio quelli in cui recito con una donna perché mi mette soggezione e sono in difficoltà e rendo di più dal punto di vista comico. La donna inizia ad essere importante, comanda, guardate Io e mia sorella. Oggi, dagli anni ’90 in poi, la situazione è diversa: ad esempio in Maledetto il giorno che t’ho incontrato entrano in crisi sia l’uomo che la donna.

A cura di Eleonora Degrassi e Andrea Moschioni Fioretti

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