Trascinati nel vuoto
La matrice di Güeros, opera prima di Ruizpalacios, è palese e quasi ostentata, e ovunque si è fatto cenno allo stile da Nouvelle Vague. È un film chiaramente figlio di quel gusto, che accoglie quelle provocazioni: giovani, metacinema, rivoluzione, liberazione, musica e senso di emarginazione o di scarto.
La madre di Tomas fa riunire i due fratelli lontano da casa perché non più capace di gestirli, fuoriusciti da un nucleo familiare che dopo la perdita del padre ha perso il suo motivo d’essere. Gli ultimi gesti di Tomas prima di lasciare casa sono il lancio di un palloncino pieno d’acqua dal tetto di un palazzo e la fuga sulla spiaggia con nelle orecchie una cassetta del padre di un vecchio musicista di rock messicano, Epigmenio Cruz. Violenza alla leggera, fuga, rifugio individuale, tratti che ritroviamo in un altro personaggio alla fine del film, un ragazzo che lancia un mattone da un cavalcavia e, per caso, sceglie l’auto su cui viaggiano Tomas, suo fratello Sombra, il coinquilino Santos e Ana, la leader del movimento studentesco, fidanzata di Tomas. Sul cavalcavia si legge la scritta “capita così a volte”, mentre il mattone penzola tra le mani del ragazzino dallo sguardo vuoto. La fatalità incontrollabile di ragazzi non pensanti è la risposta in negativo al movimento che sta per marciare in centro città. Se lì si cerca consapevolmente la rivoluzione, sul cavalcavia agisce inconsapevolmente l’involuzione. Lasciamo che il Galimberti de L’ospite inquietante descriva la scena, Ruizpalacios ci mette di fronte a: “forme di nichilismo giovanile che hanno la loro radice in una sorta di speranza delusa circa la possibilità di reperire un senso, nella sovrabbondanza e nell’opulenza che funzionano da addormentatori sociali, nell’indifferenza di fronte alla gerarchia dei valori, nella noia, nello spleen senza poesia.” Il tratto principale dei personaggi è “l’incomunicabilità, non come fatto fisiologico tra generazioni, ma come presa di posizione. Un vuoto pieno di rinuncia, assordato solo dalla musica a tutto volume.” La ricerca del musicista per Tomas e suo fratello è la ricerca di una direzione in cui fuggire, che tanto somiglia al passato, al padre, all’esistenza di un ruolo. La noia è esorcizzata da schermi che ovunque trasmettono il Grande Fratello, vuoto privo di finalità, o da falsi schermi, riquadri in cui gli stessi personaggi sembrano agire come simulacri di sé stessi. Quando emergono emozioni vere, Ruizpalacios le rende incomunicabili e mute, vedi le parole innamorate di Ana e Sombre o le canzoni di Epigmenio, segno assoluto di emotività, che le cuffie non trasmettono mai davvero. Al sonoro, massimo raggiungimento estetico del film, sono affidate tutte le implosioni, le dissonanze e le distorsioni del reale. Anche la rivoluzione è puro trascinamento di individui in una fluviale e collettiva ricerca impossibile di senso. Il film stesso è un esorcismo alla modernità, che cerca in vecchi contenitori il proprio motivo d’essere. Tali contenitori possono essere di certo ancora vitali, ma il rischio è lo stesso che per Ana e Tomas: essere trascinati e non trascinare, essere altri e non sé stessi. C’è poesia, ma resta lo spleen.
Güeros [id., Messico 2014] REGIA Alonso Ruizpalacios.
CAST Sebastián Aguirre, Tenoch Huerta, Ilse Salas, Leonardo Ortizgris.
SCENEGGIATURA Alonso Ruizpalacios, Gibrán Portela. FOTOGRAFIA Damian Garcia. MUSICHE Tomás Barreiro.
Drammatico, durata 106 minuti.