SPECIALE JACQUES TATI
Non vendibile separatamente
I film di Jacques Tati, col loro linguaggio puramente visivo e i dialoghi spezzettati tra idiomi diversi, non sono prodotti francesi ma, citando Jean Renoir, sono della stessa nazionalità di chi si dice “cittadino del cinema”.
L’ultimo grande erede della tradizione comica muta ha appena raggiunto con Playtime (1967) il suo vertice artistico ma allo stesso tempo il suo limite economico. Cosa fare di un personaggio, Monsieur Hulot, talmente in controtendenza ma ancora talmente vitale e desideroso di comunicare la sua alterità al pubblico degli anni Settanta? Tati inizia a pensare un film per il mercato televisivo, così da arrivare comunque a un grande pubblico, pur rinunciando a qualcosa dell’aspetto tecnico. L’idea è di rappresentare un signor Hulot, autore, per l’Altra, di una geniale auto accessoriata per il campeggio, cui è impossibile esporre al pubblico la sua opera. Il camion su cui l’auto viaggia incontra tutti gli ostacoli possibili, sia meccanici che burocratici, e arriva a destinazione solo quando l’esposizione automobilistica è conclusa. Tati, volendo denunciare la meccanizzazione della società che all’uomo lascia solo le rifiniture (come nelle scene iniziali nella catena di montaggio) e l’impossibilità di una creatività fuori dagli schemi, spendibile solo in contesti non ufficiali (l’auto che infine viene venduta dal camionista ai passanti), in realtà sta parlando di sé stesso. Creatore di suggestioni originalissime e di un’arte raffinata come poche, gli è impossibile mantenersi all’interno di un mercato che produce e consuma con quella voracità che si preannuncia irrazionale: la sua posizione è defilata, il soggetto dei suoi prodotti è fuori target, l’attenzione − si pensi al solo pregnante elemento sonoro − e l’autocritica dello spettatore sono richieste troppo esigenti là dove si pretende sempre più solo velocità, azione, visceralità. Le frequenti inquadrature che oppongono scintillanti ultimi modelli a cataste di vecchie auto, contorte, svuotate, rifiutate, sono l’immagine più diretta di questa idea. Il titolo originale gioca sulle sfumature della parola francese “trafic”, che indica oltre che il traffico automobilistico lo scambio commerciale e spesso illegale di beni. Tati non colloca nell’affollamento, nel caos, la causa della decentralizzazione dell’uomo nella società, bensì nel fatto che questa folla, questa massa, sia oggetto di reificazione, di valutazione, di commercializzazione. L’angolo dedicato all’Altra − nome non casuale − è arredato con alberi e un nastro registrato ripete versi di uccelli: è un’isola di naturalezza che resta significativamente vuota. Le immagini degli uomini nelle loro auto omologati nei gesti e la diretta tv dell’allunaggio dell’Apollo 11 sono presagi, intelaiature per ogni critica futura della società, che Tati e Hulot non potranno più realizzare.
Monsieur Hulot nel caos del traffico [Trafic, Italia/Francia 1971] REGIA Jacques Tati.
CAST Jacques Tati, Maria Kimberly, Marcel Fraval, François Maisongrosse.
SCENEGGIATURA Jacques Tati, Jacques Lagrange, Bert Haanstra.
FOTOGRAFIA Edward van den Enden, Marcel Weiss.
MUSICHE Charles Dumont.
Commedia, durata 96 minuti.