SPECIALE JACQUES TATI
Film Tati n.4
Nascosto dietro le quinte, l’illusionista Tatischeff osserva attonito i Billy Boy & the Britoons, band di sciroccati rockabilly che si dimena sul palco; nella Parigi di fine anni ’50 scruta la società che inesorabilmente cambia, mentre si prepara al suo solito numero di conigli nel cilindro, fiori sbocciati dalla manica della giacca e moltiplicazione di bicchieri.
L’anziano intrattenitore fiuta l’inevitabile progresso della modernità, come un animale destinato all’estinzione. È impossibile ammirare l’opera di Sylvain Chomet senza considerarne la stretta connessione con l’attività artistica del suo creatore, Jacques Tati. Tati è l’illusionista, così come la sceneggiatura – scritta fra il 1956 e il 1959 e abbandonata per mezzo secolo negli archivi del CNC col nome “Film Tati n.4” – altro non è che un prolungamento del personaggio di un’intera carriera, quel Monsieur Hulot archetipo di un universo silenziosamente sovversivo. Nella storia del mago girovago alla ricerca di un teatro che accolga il suo spettacolo – e del suo conseguente incontro con la giovane Alice – rivive la poetica della mancata integrazione di Playtime – Tempo di divertimento (1967), la pellicola che Tati scelse di girare accantonando proprio lo script dell’Illusionista. Tatischeff gira l’Europa con aria tanto disorientata quanto pacificata, accettando la sua incompatibilità col mondo come un dato di fatto. È un saltimbanco introverso e nostalgico, che si trova a proprio agio solo in mezzo a circensi e acrobati, nell’incontro fra dolorose solitudini (il clown che tenta il suicidio nella sua squallida stanza d’hotel, il ventriloquo costretto a vendere il proprio pupazzo). Il corpo estraneo – l’anticorpo? – Tatischeff attraversa un microcosmo folle che da lui esige competenze che palesemente non lo riguardano (come la surreale scena dell’autolavaggio, riferimento al contenzioso tra Tati/Hulot e i “mostri” meccanici del capitalismo), e una volta incappato nell’ingenua Alice decide di salvaguardarne il più possibile l’innocenza. Fino a quando si renderà conto che anche lei, come tutte le altre bambine, è destinata a crescere. Realizzato con animazione tradizionale (umani e animali) e digitale (città e sfondi), L’illusionista prende vita grazie alla matita di Sylvain Chomet, che con tratto finemente bidimensionale non solo ricostruisce minuziosamente un’epoca, ma sfrutta appieno le possibilità di scomposizione e frammentazione dell’inquadratura care a Tati. La visione “allargata” porta lo spettatore dentro lo schermo, tra le poltroncine rosse di velluto, in attesa che si alzi il sipario e che sul palcoscenico appaiano l’illusionista e le sue mirabolanti invenzioni. Come nella primissima scena del film, in cui si rompe la “quarta parete” e si assiste in soggettiva alla presentazione dello show.
L’illusionista [L’Illusionniste, Francia/Gran Bretagna 2010] REGIA Sylvain Chomet.
SCENEGGIATURA Sylvain Chomet, Jacques Tati, Henri Marquet. MONTAGGIO Sylvain Chomet. MUSICHE Sylvain Chomet.
Animazione, durata 76 minuti.