SPECIALE CANNES MÉMOIRES
Orizzonti rosa
Il Festival di Cannes del 1952 si può considerare uno dei crocevia fondamentali del nostro cinema. In concorso ci sono Due soldi di speranza di Castellani, Umberto D. di De Sica, Il cappotto di Lattuada e Guardie e ladri di Monicelli e Steno.
Tanti film quante sono le strade su cui l’Italia cinematografica galopperà nei decenni a venire, nel suo periodo d’oro: rispettivamente la commedia sentimentale o popolare, il dramma realistico, il film d’autore e il comico, tutte strade figlie in qualche modo del neorealismo. Accantonate o semplicemente affievolite le ideologie e le provocazioni teoriche, di quell’epoca restano i modi produttivi, il linguaggio, le iconografie, il cortocircuito tra alto e basso, la schiettezza dell’idea espressa tramite il popolare. Se si guarda Due soldi di speranza per fotogrammi nulla lo allontana dai capostipiti neorealisti: gli orizzonti aperti, le case umili, l’identificazione tra uomo e ambiente, le espressioni e i gesti che sanno di terra, di sangue e di passioni. Eppure guardandolo come cinema e non come fotografia la trama rivela una leggerezza scanzonata dove la società e le forze al suo interno sono sfondo, strumenti e pretesti narrativi, cornice. I personaggi non rappresentano classi o condizioni, non sono altro che se stessi, liberati dalle contingenze di agenti sociali, e quella che Castellani mostra non è la Storia trasfigurata ma semplici figure in una storia. Carmela è la figlia del fuochista del paese, Antonio un nullatenente, orfano di padre, appena ritornato dal servizio militare. Il loro amore nasce per gioco ma prende presto concretezza e presto si carica di problemi, innanzitutto economici, e opposizioni. Antonio con vivacità partenopea non molla mai la presa; ma anche inventandosi gli impieghi più assurdi, dividendosi tra paese e città, ammazzandosi di fatica e speranza, non riesce in fondo mai a trovare una soluzione stabile, di volta in volta rafforza e solidifica il rapporto con la giovane Carmela che sopporta i suoi colpi di testa e ammira le sue coraggiose libertà. Solo uniti saranno in grado di affrontare l’autorità paterna e le pretese materne, riacquistando dignità e rispetto da parte del resto del paese. Come in ogni piccolo ambiente la loro storia è oggetto di repulsione e attrazione: la prima non è altro che vergogna e coesione popolare contro l’atipico e il divergente, la seconda è tenuta segreta finché non sia socialmente ammissibile confessarla. Ed è nel finale, lirico e concitato, che saltano gli ostacoli di rispettabilità e ogni abitante del piccolo paese si confessa dalla loro parte, con gioia e solidarietà viene offerto ai due innamorati tutto ciò di cui hanno bisogno e anche il superfluo, con fiducia nei “pagherò” di Antonio, andando contro le logiche di tutti i giorni, contro l’idea malata del rapporto tra uomini che antepone il denaro alla bellezza, l’utilitarismo monetario alla fiducia nell’onestà e nei sentimenti. Con lo stesso approccio Castellani premette la leggerezza al dramma e, aprendo un filone tinto di rosa, fa strada al sogno nel desolato orizzonte neorealista.
Due soldi di speranza [Italia 1952] REGIA Renato Castellani.
CAST Maria Fiore, Vincenzo Musolino, Filomena Russo, Luigi Astarita.
SCENEGGIATURA Renato Castellani, Titina De Filippo. FOTOGRAFIA Arturo Gallea. MUSICHE Alessandro Cicognini.
Commedia, durata 110 minuti.