SPECIALE MADE IN CHINA
Il sogno è un pavone con la coda chiusa
Come è faticoso per certi film arrivare all’empatia tra protagonista e spettatore, così in Peacock invece sembra tutto così facile. Bastano tre inquadrature e siamo nella mente giovane e ribelle di Gao Weihong, ragazza di provincia che lavora come lavabottiglie. Soffocata dalle convenzioni non vuole lasciarsi guidare, vuole costruire da sé la sua strada.
La soluzione cade dal cielo: un giorno si stende sulla terrazza a braccia aperte e in cielo passa un aeroplano: l’identificazione tra la forma di lei e le ali metalliche è evidente, Weihong diventa un tutt’uno col suo desiderio dell’altrove. Dall’aereo si lanciano dei paracadutisti, scendono lenti come piccoli pianeti che lei, in bici, subito raggiunge. Uno di loro è un uomo molto attraente e i fili del suo paracadute restano impigliati nel manubrio della sua bici. Quanta tenerezza riesce ad esprimere Gu Changwei con le sue immagini? Il suo è un cinema del necessario, dove l’economia dello sguardo corrisponde a una sovrabbondanza emotiva che spesso una singola immagine non riesce a contenere. Frequenti allora sono le immagini moltiplicate da specchi, vetri, riflessi, profondità: si preferisce sezionare l’inquadratura al suo interno piuttosto che investire sul montaggio, e la fissità è lo strumento che meglio esprime la condizione della famiglia Gao. I movimenti di macchina, quando ci sono, sono spostamenti brevi e lenti che concludono o aprono la scena, sono slittamenti nella narrazione “visualizzati”. Se all’inizio crediamo di assistere a un film tutto incentrato su Weihong, tali slittamenti decentrano sempre più la sua figura, mettendo invece a fuoco prima il fratello maggiore, poi il minore. Il primo è chiamato da tutti Grasso ed è preso in giro da chiunque abbia a che fare con la sua fragile bonarietà; il secondo è un tipo silenzioso che, oppresso dalla condizione subalterna della sua famiglia, la sfugge trasferendosi altrove. Gu Changwei, pur prediligendo immagine e pacatezza, dà un ruolo specifico al suono e alla violenza. La musica arriva dove la vita non può, è oltre i muri, chiusa nelle stanze, sulla cima di interminabili scale: non è il suono sordo e duro delle bottiglie-vita ma è il respiro vitale di una fisarmonica-sogno. Il fratello maggiore spia in una sala per signore da cui sente provenire una affascinante voce di donna; pagherà questa attrazione con un linciaggio collettivo anche da parte dell’altro fratello, che tenterà anche di avvelenarlo, tanta è la vergogna di lui, ma la madre lo coglie sul fatto e con lo stesso bicchiere uccide una papera, sotto gli occhi dell’intera famiglia riunita a pranzo. Più volte ritorna nel film, prima ideale e poi memoria, l’immagine del pranzo con la famiglia unita che lo divide in segmenti, scandendo lo sgretolarsi del tempo che passa sotto la rassegnata accettazione di se stessi, come se la vita fosse una bicicletta frenata da un paracadute. La speranza, il sogno, sono oltre la grata di ferro che divide la famiglia Gao dal pavone, ci si consola dicendo che è inverno e il pavone non aprirà la sua coda, che non è più tempo per la speranza. Allora qual è lo spazio, il posto, la forma del sogno?
Peacock [Kong què, Cina 2005] REGIA Gu Changwei.
CAST Zhang Jingchu, Feng Li, Lu Yulai, Huang Meiying, Zhao Yiwei.
SCENEGGIATURA Li Qiang. FOTOGRAFIA Yang Shu. MUSICHE Dou Peng.
Drammatico, durata 136 minuti.