Questa non è Marienbad
I film, alle volte, possono essere come labirinti. Costruiti in quei casi appositamente per farci perdere l’orientamento, diventano meravigliosamente una metafora del Mondo. Ma i labirinti, proprio per questo, funzionano quando il percorrere le loro vie non è cosa frustrante, ma bensì parte attiva nel gioco il cui obbiettivo primario è trovare l’uscita delle loro affascinanti strutture. Le confessioni, purtroppo, assomiglia proprio a un labirinto in cui la dimensione “ludica” mai si palesa.
Nell’albergo di lusso all’interno del quale si riuniscono i ministri dell’economia degli otto paesi più ricchi del mondo, la rappresentazione della crisi che schiude tutti i suoi sensi possibili (monetaria, spirituale, umana, etica) non sembra avere la giusta forza per raffigurare con precisione e schiettezza le sue fattezze. Il problema principale sembra essere quello relazionato alle scarse qualità di un cinema che vuole tentare un ritorno a un modernismo che ormai da tempo non ha più ragione di esistere. E allora si guarda in fondo al cunicolo, cercando di far brillare il senso delle cose in spazi che vorrebbero essere astratti e geometrici allo stesso tempo − come Resnais e la sua Marienbad correttamente ci hanno insegnato − ma che invece non riescono a essere né l’uno né l’altro. Perché qui appunto non siamo a Marienbad e il frate Roberto Salus è una presenza troppo ingombrante per permettere al film di mostrarci il suo vertice. È ingombrante perché scuote le zone dell’azione manifestandosi con un ruolo che è portatore di confronti insostenibili e inconsistenti (quello con la scrittrice, ad esempio, è interessante sul piano degli sguardi ma non su quello della parola) in quanto poco efficaci per la risoluzione di un enigma che non c’è. E poi ci sono le morti improvvise, i flashback sbilenchi, i personaggi dalla scarsa incisività, i cambi di registro e gli sgangherati sorrentinismi (tanti gli animali simbolici e le soluzioni pseudo surreali presenti, che però poco ci dicono e poco sapore hanno) che lanciano il film alla ricerca di un vuoto che deve farsi significato. Ma quel significato avrebbe trovato forse il suo vuoto più efficace nel silenzio che spesso e volentieri viene richiamato dal film come valore morale ed etico assoluto; un silenzio che, infatti, nei rari momenti in cui si accentua, riesce a distribuire gli unici attimi di piena sostanza. Magicamente però, l’uscita del labirinto tutto a un tratto si manifesta ai nostri increduli occhi sotto forma di una dissolvenza a iride; usciamo dal film e concludiamo la visione con una sensazione di strano sbigottimento. Seppur solo per qualche breve momento è stato bello, ancora una volta, perdersi in un film.
Le confessioni [id., Italia/Francia 2016] REGIA Roberto Andò.
CAST Toni Servillo, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Marie-Josée Croze, Moritz Bleibtreu, Daniel Auteuil.
SCENEGGIATURA Roberto Andò, Angelo Pasquini. FOTOGRAFIA Maurizio Calvesi. MUSICHE Nicola Piovani.
Drammatico, durata 100 minuti.