Eterni conflitti
“Mai pensare che la guerra, anche se giustificata, non sia un crimine”, sosteneva giustamente Ernest Hemingway, ma la guerra è anche, che lo si voglia o meno, un fatto umano e per questo da comprendere come stato naturale dell’esistenza stessa. Georges Santayana, d’altronde, molto saggiamente scriveva che “solo i morti hanno visto la fine della guerra” perché purtroppo si era evidentemente reso conto che l’uomo vive perennemente di conflitti.
L’ha capito bene pure Martin Zandvliet, che scrive e dirige il suo Land of Mine con l’intento di raccontarci una storia realmente accaduta in Danimarca alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dove circa duemila prigionieri tedeschi furono costretti senza pietà a sminare tutti i territori della nazione. In particolare si focalizza l’attenzione su un gruppo di giovanissimi soldati che sembra quasi non sappiano per quale motivo si trovino lì. Eccola la “guerra perenne”; non si fa in tempo a rendersi conto che uno scontro è terminato che se ne vuole immediatamente aprire un altro. Il ribaltamento messo in scena è quello per il quale gli aguzzini diventano i maltrattati e viceversa; i soldati e la popolazione danese sono infatti spietati, ritenendo che i loro sfoghi sui prigionieri siano più che legittimi. Forse tutto ha un po’ il sapore del già visto, forse i personaggi vengono delineati in un modo che denota un’incapacità di dare un taglio diverso da quello invece fortemente manicheo dell’intera vicenda, forse la stessa evoluzione dei loro caratteri durante tutta la durata del racconto è in qualche modo scontata e prevedibile (perché non si può mettere in dubbio che questo sia un film che ci pone a strettissimo contatto con le caratteristiche dei protagonisti, con la necessità di farci ricercare insomma una pressante identificazione con essi). E forse raccontare con il cinema episodi inerenti alla Seconda Guerra Mondiale non è più cosa tanto facile, tenendo conto della grande quantità di pellicole dedicate a questo argomento. Ma il film di Zandvliet ha una sua autorevole dignità e riesce pure a far commuovere senza sbracare nell’eccessivamente patetico, perché delinea perfettamente uno spazio e fa sì che all’interno di quello vengano descritte tutte le brutture dell’esistenza e il modo in cui queste siano il frutto del continuo conflitto (parola d’ordine per quest’opera, è bene ripeterlo e sottolinearlo) dell’animo umano. Uno spazio circoscritto è quindi l’elemento portante, perché le mine sono lì ma anche altrove. E perché il pericolo è ovunque e la strada per la libertà non può esistere se non siamo noi stessi in grado di immaginarla.
Land of Mine – Sotto la sabbia [Under Sandet, Danimarca/Germania 2015] REGIA Martin Zandvliet.
CAST Roland Møller, Mikkel Boe Følsgaard, Laura Bro, Louis Hofmann, Joel Basman.
SCENEGGIATURA Martin Zandvliet. FOTOGRAFIA Camilla Hjelm Knudsen. MUSICHE Sune Martin.
Drammatico, durata 100 minuti.