Il cuore della questione
Zerocalcare è uno dei nuovi cantori della Generazione X, quella a cavallo dei 30, che della propria vita ha capito ben poco, figuriamoci del mondo. Retorico, finanche statico, nel suo modo di interagire con i lettori, il fumettista romano ha senz’altro il grande dono della sintesi. Grazie alla semplicità con cui accosta pregnanti concetti a parole semplici, le sue vignette prendono forza e vita, assumendo di volta in volta la voce dell’interiorità di ognuno.
Ormai da anni sulle pagine di cronaca e attualità campeggiano le storie della lotta al terrorismo, incarnata dagli oscuri figuri dell’Isis, e molte sono le iniziative che cercano di contrastare a vario titolo l’espansione tirannica estremista. Kobane Calling non promette di spiegare le dinamiche internazionali che muovono la crisi siriana, le dietrologie del caso o i meccanismi che spingono i singoli a partecipare ai fatti schierandosi con una parte piuttosto che l’altra. Non solo l’autore dichiara a lettere cubitali quanto inappropriato sarebbe buttarsi nell’impresa, ma il motore di tutta la narrazione è proprio la sua personale ricerca di un senso alla scelta di partire e unirsi alla carovana di aiuti umanitari destinati a Kobane, avamposto combattente simbolo della resistenza dal basso. Antefatti: Michele Rech decide di partecipare alla missione in supporto dei resistenti. Il suo alter ego Zerocalcare mette nero su bianco le possibili spiegazioni per giustificare questa scelta di fronte alle ipotetiche rimostranze materne. L’impossibilità delle parole di catturare l’essenza di un sentimento è, in fondo, il fulcro di questo racconto a fumetti. I disegni uniscono le alte sfere della razionalità agli istinti delle reazioni passionali, cercando un punto di congiunzione, una soluzione di continuità che colleghi in modo armonico e accettabile i due aspetti. Al di là degli argomenti trattati, impegnati o trash che siano, spesso i percorsi interiori rappresentati nelle pagine del fumettista definiscono uno stato d’animo più di elaborate sintassi (si pensi ai tentativi di approccio didattico delle sue ripetizioni a giovani ancora per poco imberbi). Così, sul finale, l’immagine di quel cuore stilizzato eppure dettagliatissimo arriva come una liberazione, come uno svelamento del pixelato velo di Maya che lo celava. C’è poco da fare: al netto di tecnicismi e obiezioni puriste Zerocalcare mantiene una forza visiva e letterale invidiabile, che sa rappresentare i grandi interrogativi che attanagliano più di una generazione. Che sia la quotidianità di Kobane o quella di Rebibbia.