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S.O.B. (1981)

sabato 19 Marzo, 2016 | di Edoardo Peretti
S.O.B. (1981)
Speciale
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SPECIALE BEHIND THE SCREEN – II PARTE
L’esilarante leggerezza dell’essere
Il titolo di questa impeccabile commedia di Blake Edwards può essere letto in tre modi: come il “sob” onomatopea del fumetto, come “Standard Operational Bullshit” o come acronimo di “Son of a Bitch!”. Ciascuna delle tre letture può essere adeguata: l’onomatopea più triste del fumetto perché dietro la comicità irresistibile c’è una sostanza più cupa e sofferta; la seconda è un’affermazione di uno dei personaggi che rilegge l’intera vicenda, mentre, per quanto riguarda la terza, il film è effettivamente pieno di “sons of a bitch”.

Lo sono – chi più e chi meno – i produttori, gli agenti, i lacchè, i giornalisti e le attrici che fanno da sfondo alla storia di Felix, produttore sconvolto dall’unico flop economico della sua carriera e preda di volontà suicide, almeno fino a quando non decide di trasformare l’insuccesso in un musical erotico. Blake Edwards, 13 anni dopo Hollywood Party, torna a rappresentare i dietro le quinte della “Mecca dei sogni” in maniera ancor più caustica e dissacrante, inserendo sprazzi di irresistibile comicità fisica nella dominante e altrettanto irresistibilemediacritica_sob_290 comicità di parola. Se l’indiano interpretato da Peter Sellers nel film del 1968 era inconsapevole portatore di caos slapstick a causa della sua candida inadeguatezza e della sua ingenua purezza, che, entrando in attrito con l’ipocrita e frivola apparenza della mega-festa, scatenavano l’apocalisse comica, qui il cinismo dei dialoghi e la spietatezza della rappresentazione nascono da una consapevolezza dichiarata, accettata e più amara: consapevolezza dei personaggi e del regista (legittima è infatti una rilettura quasi autobiografica del film). “Qui nessuno di noi ha mezza coscienza”, afferma sconsolato il personaggio interpretato da William Holden un attimo prima di mettere in atto, insieme ad altri due, la piccola ribellione finale che li discosta dal copione di cinico utilitarismo dell’ambiente che li circonda, e che li rende mine vaganti non dissimili (non a caso, questa ribellione nasce in una delle sequenze più comiche) dal protagonista di Hollywood Party. Con molta più amarezza, dicevamo: sì, perché nella sostanza S.O.B. è un film cupo, in cui la morte è costantemente e chiaramente presente, fin dalla prima scena. È una commedia, come sanno esserlo molte grandi commedie, esilarante e tetra, in cui Edwards dà anche una lezione di pura messa in scena: basti vedere, per esempio, l’utilizzo della profondità di campo e di tutto lo spazio “fisico” dell’inquadratura per creare la gag o esaltare la battuta. S.O.B. è il ritorno del regista ad alti livelli dopo un periodo d’appannamento, nonché uno dei suoi migliori film in assoluto. Anche grazie ad un cast di prim’ordine: dal protagonista Richard Mulligan a William Holden nella sua ultima apparizione, da Robert Preston a Julie Andrews.

S.O.B. [id., USA 1981] REGIA Blake Edwards.
CAST Richard Mulligan, William Holden, Julie Andrews, Larry Hagman, Robert Vaughn, Shelley Winters, Rosanna Arquette.
SCENEGGIATURA Blake Edwards. FOTOGRAFIA Harry Stradling Jr. MUSICHE Henry Mancini.
Commedia, durata 121 minuti.

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