SPECIALE BEHIND THE SCREEN
Lacrime di rimmel per una Roma crudele
“Il fatto è che le va tutto bene, è sempre contenta, non desidera mai niente, non invidia nessuno, è senza curiosità, non si sorprende mai, le umiliazioni non le sente. Le scivola tutto addosso, senza lasciare traccia”. Lei è Adriana Astarelli, protagonista di Io la conoscevo bene, film di Antonio Pietrangeli del 1965.
Il cineasta è per molti il regista delle donne perché in grado di raccontare meglio di altri, con sensibilità e delicatezza, il mondo femminile, e di mostrare l’Italia di quegli anni. Con Io la conoscevo bene Pietrangeli compie un’analisi antropologica del mondo dello spettacolo; per fare ciò intervista le piccole stelle del firmamento, capendone speranze, ma anche frustrazioni, infelicità e malinconie. Il risultato è la sprovveduta Adriana/Stefania Sandrelli, una come tante, donna nuova e indipendente, che dalla provincia arriva a Roma alla ricerca del successo. La capitale è bella come una femme fatale, tutta feste e divi, ma dietro la maschera nasconde una nauseante putrescenza che ammala i più deboli. Adriana, ingenua e vittima incolpevole della sua sorte, tenta la strada dello spettacolo. Gioisce del suo corpo, sodo e levigato, spesso scoperto, passa il tempo a conoscere persone, a frequentare corsi di dizione, a cercare la sua migliore versione per essere più fotogenica. È immersa in un mondo vuoto e crudele, in cui vaga come un fantasma, non trovando il suo posto. Una delle sequenze più terribili è quella del vecchio attore/Ugo Tognazzi che fa sfoggio – fino a sentirsi male – del suo cavallo di battaglia, un numero di tip tap. È un ambiente spietato e miserabile che umilia, sfrutta chi vi fa parte: pensiamo all’intervista di Adriana per la rubrica “volti nuovi”, montata per prendersi gioco di lei. Gli uomini vogliono l’aspirante stella, un bell’oggetto, un capriccio di uno sguardo brutale, la desiderano, o meglio bramano solo il suo corpo, usandola e poi abbandonandola. È proprio il maschio, sia il press agent/Nino Manfredi, sia l’intellettuale, sia il ragazzotto di provincia, a gettarla in un tunnel senza via d’uscita: il suo salto nel vuoto è il suo primo atto di autoderminazione. Dopo ogni storia fallita, ogni evento mondano è un po’ più infelice, e lei rimane più vuota, ancora sola – il suo sguardo triste nel nulla ne è testimone -, nella sua casa ad ascoltare il giradischi. Balla con le Kessler, emblema di una televisione tutta gambe e lustrini, e si commuove su Mani bucate, perché in quelle parole si ritrova. Pietrangeli attraverso lei mostra con tenerezza tutta una generazione di donne tradite, messe in ginocchio, in un mondo – quello dell’industria cinematografica – con cui l’autore non è mai andato d’accordo. Io la conoscevo bene è una marcia verso il nulla e verso la consapevolezza di sé, una poesia con un drammatico finale che accarezza un’ingenua piccola donna che non si può non amare.
Io la conoscevo bene [Italia 1965] REGIA Antonio Pietrangeli.
CAST Stefania Sandrelli, Mario Adorf, Jean-Claude Brialy, Nino Manfredi, Enrico Maria Salerno, Franco Nero.
SCENEGGIATURA Antonio Pietrangeli, Ruggero Maccari, Ettore Scola. FOTOGRAFIA Armando Nannuzzi. MUSICHE Piero Piccioni.
Drammatico, durata 111 minuti.