SPECIALE BEHIND THE SCREEN
In equilibrio sul disordine
Una citazione celebre presa dal film Hellzapoppin’ compare spesso nei libri di storia del cinema: “Qualsiasi somiglianza tra Hellzapoppin’ ed un film è puramente casuale”. Nel 1938 era andato in scena a Broadway un musical omonimo, ad opera di Olsen e Johnson, che fece il record assoluto di repliche restando in cartellone fino al 1941, quando si pensò di farne un film dello stesso tenore.
La citazione, che appare ad inizio film, per chi oggi lo guarda, è paradossalmente falsa. Se si considera la sua natura teatrale, la trasposizione fatta da Potter e prodotta dalla Universal è di natura invece squisitamente cinematografica, traduce infatti lo spirito provocatorio e sorprendente del musical in cui abbondavano trucchi, sketch estemporanei e interazioni col pubblico in trovate ed effetti visivi resi possibili dal mezzo cinematografico. Il nucleo vero e proprio dell’opera risiede in una banalissima commedia leggera svolta coi modi del musical come in quel periodo ne abbondavano. Una spensierata storia d’amore tra “ricchi in modo disgustoso”, farcita di malintesi, humour e coreografie ben divise tra “bianche” e “nere”: l’ordine geometrico, sincronizzato e moralmente controllato del corpo di ballo bianco contro la vitalità acrobatica e “hot” dei ballerini che mescolano jazz e tip tap. La Universal mise questo spirito di contrapposizione nel film, improvvisando sul tema e sulla trama come se tecnici e cast fossero una swingante big band. Ci ritroviamo allora con attori che parlano col proiezionista chiedendo di riavvolgere la pellicola per cambiare l’esito della scena, situazioni giocate sull’assurdo in stile fratelli Marx, uccisioni irrilevanti perché ostentatamente false, effetti di montaggio e sovrapposizioni figlie del migliore Buster Keaton e i protagonisti, Ole e Johnson, che fanno il film mentre lo guardano e si guardano, entrando ed uscendo dallo schermo, agendo da vivi nonostante siano figure proiettate. Per eccesso di voglia di stupire e divertire però si perde di coerenza ed equilibrio, dando molto spazio alle parti musicate e scemando la necessità e l’efficacia delle trovate, di per sé geniali. Con sguardo retrospettivo si può dire che Hellzapoppin’ è un film che non solo “somiglia” ad un film, ma che “è” un film ed è cinema. Per uno spettatore del ’41 era una totale devianza dal canone di ciò che un film era, oggi con l’occhio dello storico è una naturale reazione a modi produttivi che anche grazie a quest’opera sono stati messi in discussione. Certo non si tratta di una critica estetica dura e profonda, ma il primo modo e anche il modo più leggero e graduale per infrangere l’alone intoccabile di un’auctoritas è l’ironia, la messa in farsa, senza, come recita Parini maestro di satira, “vergogna/di mischiar cotai fole a peregrini/subbietti, a nuove del dir forme, a sciolti/da volgar fren concetti onde s’avviva/da’ begli spiriti il vostro amabil Globo”.
Hellzapoppin’ [id., USA 1941] REGIA Henry C. Potter.
CAST Ole Olsen, Chic Johnson, Martha Raye, Mischa Auer.
SCENEGGIATURA Warren Wilson, Nat Perrin. FOTOGRAFIA Elwood Bredeli. MUSICHE Gene de Paul.
Comico/Musicale, durata 84 minuti.