SPECIALE BEHIND THE SCREEN
Vi presento il cinema
Effetto notte, ovvero il film a cui moltissimi di noi devono una parte della propria idea sul cinema. Storia di un set e di una troupe, film che racconta la realizzazione di un film, Vi presento Pamela, che non vedremo mai, opera che, con la scusa della commedia quasi rosa, racconta la precarietà di un mestiere, i suoi espedienti, i suoi stereotipi, senza paura di farsi essa stessa stereotipo, nonostante le critiche feroci che a Truffaut arriveranno dal collega (e da allora amico perduto) Jean-Luc Godard, in uno scambio di lettere ormai quasi leggendario.
Effetto notte ha insegnato a milioni di studenti di cinema che cos’è un piano sequenza, come funziona una sequenza musicale, ha mostrato uno per uno la serie praticabile dei campi, dei piani e dei raccordi di montaggio, grazie a un gattino intimidito ha lasciato intendere l’intrusione del reale e la sua antipatia per i ritmi della fiction. Il film è una meravigliosa galleria di caratteri, tutti guardati con affetto e disincanto: il regista ossessivo e spesso (letteralmente) sordo alle altre persone, gli attori che – mai pienamente concentrati sulla parte – cercano l’uno nel conforto dell’altro la propria sicurezza, i tecnici che corrono avanti e indietro senza sapere se i loro sforzi saranno davvero premiati, il produttore – figura sì, questa, probabilmente perduta – che con un occhio vigila sul set, con l’altro sorride alle domande dei giornalisti. Effetto notte non racchiude tutte le pratiche possibili del fare cinema e, in fondo, non ha mai cercato di farsi enciclopedia o capodopera: nelle immagini di Truffaut sembra più forte il desiderio di restituire la totalità della vita, di una vita che intervalla con respiri e sospiri i ritmi del set e getta su di esso la propria ombra, nel bene di una gravidanza nascosta come nel male di una morte improvvisa. Tutti gli sforzi si concentrano su Vi presento Pamela e, questa, è in ultima analisi la grande o piccola lettura che il film si guadagna: il cinema pulsa della bellezza del gesto, dimentica la propria vanità e sfida l’inutile con l’ideale del creare comune, del gruppo come organismo vivo al lavoro, tanto più autentico quanto più la notte, al cinema, è girata di giorno. Domenico Starnone, nel suo romanzo Fare scene, che molto deve allo spirito di Effetto notte, arriva ad esprimere lo stesso afflato con viscerale malinconia: “E poi, mi dissi, che ci posso fare? Il cinema per me, tutto il cinema, è una necessità della testa e del sangue.” Anche per questo, chi il cinema l’ha praticato in un modo o nell’altro, conosce molto bene la tristezza dei saluti e degli arrivederci, quando il film è compiuto e a ciascuno non resta che riprendere la propria strada, smarrito l’appiglio sul presente che solo la vita sul set può garantire, incerto su quello che dall’indomani potrà arrivare.
Effetto Notte [La Nuit américaine, Francia 1973] REGIA François Truffaut.
CAST Jacqueline Bisset, Valentina Cortese, Jean-Pierre Aumont, Jean-Pierre Léaud, Nathalie Baye.
SCENEGGIATURA François Truffaut, Jean-Louis Richard, Suzanne Schiffman. FOTOGRAFIA Pierre-William Glenn. MUSICHE Georges Delerue.
Commedia, durata 115 minuti.