SPECIALE VIVERE E MORIRE A ROMA
Cuore di tenebra
Una panoramica che parte dalla cupola di San Pietro, abbraccia i monumenti della Città Eterna e termina il suo cammino in una desolata zona periferica; una giovane donna incinta, che riempie dei secchi d’acqua nella baraccopoli in cui vive, mentre sullo sfondo il Cupolone si illumina delle luci dell’alba.
Queste due sequenze sono rispettivamente l’inizio e la fine di due dei film che compongono lo Speciale di Mediacritica di questa settimana, dedicato alla Roma marginale e nera, dove morire è più facile che sopravvivere: Una vita violenta di Brunello Rondi e Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola. In entrambe le scene sono affiancate due realtà tipiche della città: quella solare, magnifica ed eterna rappresentata dal Cupolone; e quella nascosta, sporca, che vive alla giornata delle periferie, dell’emarginazione e della micro-criminalità. Sono due facce della stessa medaglia, e sono interdipendenti, come la letteratura e il cinema hanno capito e raccontato. Ai tempi degli epigrammi di Marziale e del Satyricon di Petronio la Suburra era la faccia sporca del centro dell’impero, mentre la Roma dei Papi ha trovato nei sonetti del Belli la polvere nascosta sotto il tappeto dello sfarzo e della spiritualità. Poi Roma è diventata capitale d’Italia e perenne monumento alla storia dell’uomo e al suo splendore: la sua bellezza è capace, come ha intuito La grande bellezza di Sorrentino, di convivere con le miserie e lo squallore, come una persona che ha accettato un suo difetto e lo affronta alzando le spalle e godendosi con distacco le luci del tramonto. La rappresentazione e il racconto delle marginalità capitoline hanno acquisito una certa peculiarità, diventando tra i principali topoi con cui Roma è stata raccontata al cinema. C’è la romanità verace dei Petrolini, dei Fabrizi e dei Sordi, c’è la visione folcloristica in stile Vacanze romane. E c’è la rappresentazione del cuore – per quanto periferico e borgataro – di tenebra dell’Urbe, che nel gioco di contrasto e di interdipendenza con la grandezza della Storia e della percezione più diffusa della città trova la sua ragione d’essere. È un sottoproletariato particolare quello romano: guascone e irascibile, vitale e cupo, ironico e tragico, vivace e disperato. Lo capì Pasolini: in Accattone è naturale ridere di gusto poco prima della tragedia finale. La strada tracciata dal poeta venne seguita da una serie di altri film: il già citato Una vita violenta, ma anche La notte brava di Bolognini e La commare secca, esordio alla regia di Bertolucci. L’evoluzione in senso più impersonale e ancor più disilluso del proletariato di borgata è fotografato da Roma violenta e da Roma a mano armata, poliziotteschi che denunciano l’evoluzione della criminalità maturata pochi anni dopo con la Banda della Magliana, simbolo e punto d’arrivo del Romanzo Criminale romano. Non si può tralasciare uno dei maggiori cantori della suburra moderna però, Claudio Caligari. Nel suo Amore tossico la fatalista ironia di Roma giustifica la scelta di avere comprato un cornetto al posto della dose quotidiana, in una cornice di marginalità e di disperazione assolute, ambientate nelle stesse spiagge di Ostia in cui Sergio Citti ha ambientato uno dei film più importanti di questo filone: Ostia.