Cronaca da prima pagina
Il team Spotlight lavora all’interno del Boston Globe, uno dei maggiori quotidiani della città. Quando arriva un nuovo direttore del giornale, la squadra viene incaricata di riprendere le indagini abbandonate qualche anno prima legate alla sospetta coincidenza tra i trasferimenti di prelati locali e le denunce (mai arrivate allo sguardo pubblico) di abusi su minori.
Mark Ruffalo dal basso della sua (relativamente) piccola parte nelle vicende raccontate da Il caso Spotlight si afferma in realtà come uno dei motori dell’azione, o meglio uno dei volti che maggiormente fidelizzano lo sguardo del pubblico. Certamente, anche le prove di Michael Keaton e Liev Schreiber sono degne di nota (al contrario di quella di Rachel McAdams, per dire), ma è sul corpo di Ruffalo che, con il passare del tempo, si notano i segni dell’andamento dell’inchiesta e delle relative scoperte. Ruffalo contribuisce insomma in maniera determinante alla riuscita di Tom McCarthy nel suo intento cinematografico, forse proprio grazie a quel suo restarsene in disparte, che al pubblico piace tanto. La rincorsa allo scandalo da prima pagina si trasforma nel giornalismo migliore, quello “necessario”, che scuote dal sonno gli animi dormienti. Il film, nel suo complesso, non si preoccupa troppo di superare questa dimensione, in cui ogni immagine è funzionale alla storia narrata, in cui il vero fulcro è la storia stessa che si dipana. Così, McCarthy dirige un film senza puntare sulla resa artistica ed estetica della trama; le conseguenze sono che, da un lato, la centralità delle vicende rende giustizia alla cronaca reale sottesa, ma dall’altro lato il film si dimentica di essere tale, sfilacciando il ritmo con immagini dal perenne sfondo “bianco-muro-d’ufficio”. La ripetitività di scenografie e cromatismi non giova al risultato finale di Spotlight, ma gran parte del cast si fa comunque carico del trasporto degli spettatori attraverso le varie sequenze. Che il film sia un prodotto godibile è indubbio, così come il fatto che le nomination ricevute per varie premiazioni (circa 150 per adesso) siano del tutto meritate. Il suo grande pregio è quello di salvarsi dalla medietà della retorica del giornalismo d’inchiesta trasportato sullo schermo, rinunciando a spingere sul pedale del vittimismo a favore di una certa compostezza emotiva. In conclusione, non si può parlare di uno di quei capolavori che cambiano la visione del mondo o che provocano una commozione sociale e artistica notevole, ma sicuramente si può indicare come buona prova di misura giornalistica. Da sottolineare anche lo slittamento operato dalla traduzione del titolo in italiano, che clamorosamente cita il team d’inchiesta come fosse il focus dello scandalo.
Il caso Spotlight [Spotlight, USA 2015] REGIA Tom McCarthy.
CAST Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams, Liev Schreiber, Stanley Tucci.
SCENEGGIATURA Josh Singer, Tom McCarthy. FOTOGRAFIA Masanobu Takayanagi. MUSICHE Howard Shore.
Drammatico, durata 128 minuti.