Il carrozzone (va avanti da sé)
Per anni Sanremo ha tentato invano di svecchiare la propria formula di “intrattenimento lento” e rassegna canora. Sul famigerato palco dell’Ariston si sono alternati i vari Fabio Fazio (1999-2000), Simona Ventura (2004), Paolo Bonolis (più 2005 che 2009), Giorgio Panariello (2006): conduttori animati dal desiderio di dimostrare come Sanremo non fosse necessariamente più Sanremo.
Poi sono definitivamente esplosi i talent show musicali – X Factor su tutti – e il Festival della Canzone Italiana, invece di tramontare, ha riacquistato progressivamente potere e valore. Se da un lato le gare mangia & bevi di nuova generazione hanno imposto un nuovo format identico in tutto il mondo (all’insegna della più bieca omologazione: il The Voice filippino è ricalcato su quello israeliano, che è uguale a quello australiano, e così via), il “rito collettivo” sanremese ha ripreso saldamente il proprio posto, ristabilendo la propria unicità nazional-popolare. Niente è come Sanremo, perché – come diceva il jingle di 20 anni fa – “Sanremo è Sanremo”: un carrozzone sorpassato, macchinoso, pachidermico, che manda in solluchero lo spettatore medio italico e che trova nuovi adepti tra gli amanti del modernariato e della nostalgia (di epoche mai vissute). Dice Aldo Grasso che “Sanremo è il kitsch e il trash che ci illudiamo di cancellare dai nostri atteggiamenti pubblici”: vero, ma ci si può persino spingere oltre. Il Festival della Canzone ci rende orgogliosi dei nostri difetti, li esalta facendosi modello di ciò che siamo: non uno spettacolo al passo coi tempi che cambiano (che noia!), ma un prodotto da avanspettacolo che risorge ogni anno dalle sue ceneri, a cui è necessario approcciarsi con rispetto e circospezione. Facciamoci caso: quando il vincitore di un talent tenta la via di Sanremo lo fa piegandosi alla sua logica. Così Francesca Michielin, Lorenzo Fragola, Deborah Iurato e Valerio Scanu, da interpreti contemporanei e “giovani”, nel momento in cui salgono su quel palco diventano straordinari emuli della “classicità” sanremese, della sua estetica e dei suoi contenuti. Qualcosa di simile accade con i cosiddetti “alleggerimenti comici”: le imitazioni di Virginia Raffaele, lo scherno della Gialappa’s Band al DopoFestival e persino le performance di Elio e le Storie Tese funzionano a meraviglia proprio perché elementi “alieni” in un contesto impettito, inamidato e monolitico. Alla faccia della scoperta delle onde gravitazionali che pare renderanno possibile il viaggio nel tempo, Sanremo è ecumenicamente una macchina spazio-temporale a disposizione di tutti. Un brand che invecchia a vista d’occhio ma che non invecchia mai, che cerca continuamente di essere replicato da Mamma Rai (con il “gancio” a Ballando con le stelle, con il cortocircuito emozionale di Tale e Quale Show) perché destinato ad un sempiterno successo.
Sanremo 2016 – 66° Festival della Canzone Italiana [Italia 2016]
CON Gabriel Garko, Virginia Raffaele, Madalina Ghenea.
REGIA Maurizio Pagnussat. PRESENTATORE Carlo Conti. CANALE Rai Uno.
Show, durata 240 minuti (puntata).