Quelle commedie siamo noi!
Una volta c’era la commedia all’italiana, quella dei Grandi, spietata e crudele, quella dei poveri in canna che credevano di aver compiuto il “Sorpasso”, in grado di raccontare l’Uomo e l’Italia. Oggi invece c’è la commedia italiana e Carlo Verdone è uno dei narratori più brillanti dei disastri del nostro tempo.
Mostra vizi e virtù di un Paese vitale e sincero, spesso bugiardo, allegro e rumoroso, ma che nasconde sempre una vena malinconica. La sua romanità “colorata”, la sua inclinazione istrionica lo fanno approdare prima a Tali e Quali e poi a Non Stop, da cui hanno origine alcune delle sue maschere più riuscite. Fin dagli esordi parla con e dal nostro ventre molle, come attore e, soprattutto, come regista, dando il meglio quando dirige se stesso, creando tipi umani reali, affabulandoci con il corpo, esasperando tic e manie. I suoi personaggi camminano, parlano e gesticolano in maniera diversa, quasi come se il suo fosse un lavoro da antropologo. Costruisce intorno alla maschera “carnevalesca” i primi film (Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone) che lo vedono protagonista – Enzo, Leo e Ruggero nel primo, Furio, Mimmo e Pasquale nel secondo − e interprete magnifico della solitudine umana, della “barbarie” dell’uomo qualunque. La “bestia” di Verdone non è rara, siamo noi con le nostre debolezze (la timidezza di Leo, l’immaturità di Mimmo, la petulanza di Furio) e “brutture”. Il regista sente poi l’esigenza di una narrazione più organica (la svolta con Borotalco) e inizia a vestire i panni di un solo personaggio. In Borotalco e in Acqua e sapone vi è lo smarrimento di un’intera generazione (i trentenni senza ideologia), un po’ “vitellona” e un po’ “amica mia” (il gioco degli equivoci è al centro di queste storie), alienata, senza lavoro o alla ricerca di un ruolo all’altezza dei propri sogni. Noi diventiamo grandi (Grande, grosso e Verdone e Compagni di scuola), come la società slabbrata e incapace di comunicare (Io, loro e Lara): quello che prima era il figlio ora è il padre (il conflitto generazionale), quello che prima si sposava (Viaggi di nozze) ora ha una famiglia infelice (L’amore è eterno finché dura), quello che prima andava dal terapeuta (Ma che colpa abbiamo noi), ipocondriaco impenitente, ansioso di professione (Maledetto il giorno che t’ho incontrato), ora è un adulto mal riuscito (Posti in piedi in paradiso), ancora legato alle ambizioni del passato, disarmato nei confronti del mondo, degli altri e di se stesso. Nella sua filmografia − intrisa della commedia di ieri e di musica (Maledetto il giorno che t’ho incontrato, Sono pazzo di Iris Blond), primo grande amore del regista – l’italiano fragile, insicuro, un po’ impacciato, un po’ prete, un po’ amante, un po’ impiegato e un po’ buzzurro si sviluppa, preso per mano da un osservatore ironico e “amaro” che si apre al mondo e a lui.