27° Trieste Film Festival – Alpe Adria Cinema, 22 – 30 gennaio 2016, Trieste
Shiny (un)happy people
Come ogni buon mistero che si rispetti, il “neorealismo nordcoreano” è e sempre sarà uno di quei miti capaci di produrre fantasie da distopia sci-fi, leggende che sembrano soggetti di film dell’orrore o scalette di programmi tv alla Voyager.
Dalla Repubblica Popolare asiatica non trapela e non arriva quasi nulla: da un lato solo i deliranti diktat dell’agenzia di stampa statale – atti a spaventare il nemico capitalista – e dall’altro le briciole di chi, per qualche motivo, in Corea del Nord c’è davvero stato. Anche in questo caso, le possibilità sono due, perché perlopiù si tratta o di fuggitivi che rinnegano il proprio luogo di nascita narrando di epiche fughe (ci viene in mente il recente The Defector, distribuito in Italia dalla rivista Internazionale) o di turisti che per lavoro/piacere raccontano la realtà “di plastica” del totalitarismo retto da Kim Jong-un (come fa Guy Delisle nella sua graphic novel Pyongyang). Per quanto necessarie e fondanti, queste testimonianze non possono che essere parziali, filtrate cioè da una interpretazione dell’accaduto. Per questo il lavoro svolto dal documentarista russo Vitalij Manskij con Under the Sun non è solo importante, è unico. Al regista è stato infatti concesso dalle autorità coreane il permesso di girare per un anno nella capitale, per ritrarre la vita di una famiglia media nel momento in cui la giovane Zin-mi si prepara ad entrare nei Giovani Pionieri (sorta di passaggio alla vita adulta). Il risultato è agghiacciante, martellante, intossicante. Mantenendo una umanissima e asettica distanza, Manskij sfonda la quarta parete e offre ai nostri occhi una duplice chiave di lettura. Se di primo acchito è lecito soffermarsi sui bizzarri rituali della ginnastica ritmica del popolo, dell’inchino dei ragazzi davanti all’effige di Kim Jong-il e della feroce coazione a ripetere con cui i maestri inculcano l’eroismo dei Supremi Leader nelle teste dei bambini, è ad un secondo livello – dapprima solo suggerito, poi ampiamente mostrato – che si svela il trucco: tutto il girato è una messinscena ricreata ad hoc dai funzionari del governo, tutto ciò che vediamo è un posticcio Truman Show che vorrebbe mostrare la vita ideale di un Paese ideale. La verità si fa strada negli elementi di contorno, rimarcata da una regia frontale e impietosa: i sorrisi forzati ed esasperati degli adulti si riflettono negli zoom dei loro sguardi spenti, spaventati, disillusi; l’entusiasmo e la vitalità della piccola protagonista Zin-mi muore in un pianto a dirotto nel momento in cui le viene chiesto cosa si aspetti dalla vita. Tutto il senso di Under the Sun, in fondo, è lì: nella fulminea, lucida e infelice presa di coscienza di una bimba di 8 anni, la cui esistenza è già dolorosamente destinata a diventare ingranaggio ideologico di regime.
Under the Sun [V Lucach Solnca, Russia/Germania/Repubblica Ceca/Lettonia/Corea del Nord 2015] REGIA Vitalij Manskij.
SOGGETTO Vitalij Manskij. FOTOGRAFIA Aleksandra Ivanova, Michail Gorobcuk. MUSICHE Karlis Ausans.
Documentario, durata 106 minuti.