L’arte di saper morire
In questi tempi in cui siamo ormai tutti spettatori onnivori, di supporti e di prodotti, ci si dimentica che spesso alcune opere veicolano messaggi nascosti che emergono solo con un’analisi attenta. David Bowie, che ci ha lasciato lunedì, ha dimostrato tutto ciò con Lazarus, il suo ultimo video uscito il 7 gennaio.
In queste ore tutti stanno parlando della grandezza artistica e dell’eredità che ci ha lasciato il Duca Bianco, e Lazarus rimarrà uno degli esempi più lampanti del suo genio e del suo estro creativo. Diretto da Johan Renck, autore di alcuni dei videoclip più interessanti degli ultimi anni (come Tripping di Robbie Williams e Krafty dei New Order), è il testamento/dichiarazione di Bowie. Inquietante e perturbante quanto basta per entrare di diritto nella sua insaziabile produzione, descrive in pieno gli ammalati (ultimi) giorni della vita di un artista che, relegato in un letto di ospedale, combatte con il proprio debole corpo. Quasi nessuno ha fatto caso al fisico e al volto solcato dalla malattia con il quale Bowie ha voluto congedarsi, ma se lo si studia, anche alla luce di quello che è poi successo, gli input comunicati erano molti. Nel video un uomo è bendato sofferente in un letto ma la sua voglia di vivere lo vedrà rialzarsi e cercare di ballare e scrivere come se niente fosse. Lazzaro che si alza per riviere una seconda vita, quella dopo la morte fatta di gloria e successo, una pratica già utilizzata dai tanti personaggi interpretati da Bowie: Ziggy Stardust e i vari periodi musicali e artistici che hanno saputo supportare quell’iconicità che a fatica riusciremo a dimenticare. La benda con i bottoni al posto degli occhi, già indossata nel precedente Blackstar, come una schermatura per ciò che riserva il futuro e la paura di realizzare cosa ci sarà dopo la morte. Provare e riprovare a combattere sforzandosi a muoversi nonostante il dolore, per dimostrare di esserci ancora e lavorare alla registrazione dei pensieri attraverso la scrittura. Un coraggio che oggi mette i brividi, una potenza e una lucidità artistica senza eguali. A differenza del John di Miriam si sveglia a mezzanotte che è destinato a invecchiare in un bar, Bowie con Lazarus ironizza sulla sua immortalità in quanto star, e del resto come dargli torto. Renck asseconda il mito e realizza un lascito che gioca con il cromatismo finalizzato alla descrizione dell’incubo vissuto dal malato, senza per forza calcare la mano sul corpo martoriato. Un lavoro che si completa insieme a Blackstar in cui con un rito pagano si seppellisce un astronauta, un uomo che ha viaggiato e ha bramato sempre lo spazio ignoto e che adesso è pronto a conoscerlo. Un uomo dalle tante vite che ogni giorno, grazie alla sua opera, rivivrà.
Lazarus [id., USA 2015] REGIA Johan Renck.
CAST David Bowie.
Videoclip, durata 4 minuti e 8 secondi.