SPECIALE ORSON WELLES
O come Orson
Si rischia di rimanere parecchio delusi dal documentario di Chuck Workman. Ci si aspetta qualcosa che provi quantomeno a interagire con la materia cinematografica plasmata da Welles durante tutta la sua carriera, qualcosa che tenti di comprendere per quale motivo possa nascere un personaggio così geniale e allo stesso tempo con i piedi ben piantati per terra, e invece ci si trova davanti a un’operazione didattica e sterile, perfettamente ingabbiata (e qui il tono da ossimoro è coscientemente utilizzato) in un discorso che più canonico non si può.
Per carità, è verissimo: Orson Welles è una figura talmente mastodontica (in tutti i possibili sensi) che inquadrarla in uno “schizzo” da un’ora e mezzo o poco più, diventa un’impresa non certo facile, ma raccontarne le gesta come se fosse il primo mestierante preso a caso, no, questo proprio non si riesce a mandarlo giù. Insomma, parliamoci chiaramente: il nostro “mago” è uno che ha saputo lasciare sempre tutti quanti a bocca aperta. Solo nella primissima parte della sua carriera c’è materiale a sufficienza di cui sbalordirsi; dalla ormai famosissima radiocronaca del 1938 dell’invasione della Terra da parte dei marziani (spettacolare una delle sue dichiarazioni riguardo a quell’evento: “Per quello che ho fatto quella sera sarei dovuto finire in galera, ma al contrario, sono finito a Hollywood”), scatenando il panico in buona parte degli Stati Uniti, all’incredibile capolavoro Quarto potere uscito nel 1941 quando aveva solo ventisei anni. Perciò parlarne con toni quieti e rassicuranti è la cosa più sbagliata che si possa fare. Scriveva Goffredo Fofi riguardo Welles, che “titanismo e umanesimo, barbarie e civiltà, vitalismo e rigore tentano vanamente di conciliarsi nei suoi film”. Esatto, l’inconciliabilità è una delle caratteristiche più evidenti del suo percorso e proprio su quel piano si sarebbe potuto lavorare per narrarne l’attività artistica. Si pensi solo a un film come F come falso, sulla natura prettamente ingannatrice dell’arte e sulla difficoltà a distinguerne gli elementi falsi da quelli veri: avrebbe potuto ispirare un contributo ben più intelligente, anche se attraverso un racconto della sua vita per forza di cose cronachistico. Invece ne Il Mago tutto è lineare, tutto è scontato, tutto è come dovrebbe apparire. Su Welles e per Welles – lo ribadiamo – ci saremmo aspettati qualcosa di più. Date retta: impiegate il tempo che impieghereste nel vedere questo documentario per vedere (o rivedervi) uno a scelta dei suoi film. È forse l’unico modo adatto a commemorare uno dei più grandi maestri della storia del cinema. Come disse una volta lo stesso Welles, “Gli impiegati stanno al sicuro, i creativi su qualche ciglio di burrone – che è proprio il posto loro, naturalmente”.
Il mago – L’incredibile vita di Orson Welles [Magician: The Astonishing Life and Work of Orson Welles, USA 2014] REGIA Chuck Workman.
SOGGETTO Chuck Workman. FOTOGRAFIA John Sharaf, Tom Hurwitz, Michael Lisnet.
Documentario, durata 94 minuti.