33° Torino Film Festival, 20 – 28 novembre 2015, Torino
La 33° edizione del Torino Film Festival, la seconda targata ufficialmente Emanuela Martini, conferma il successo crescente (10% in più di biglietti singoli venduti e un’affezione sempre più evidente tra critici, cinefili e addetti ai lavori) della manifestazione, dimostrando come il festival sabaudo si stia sempre più radicando sul secondo gradino del podio dei festival italiani importanti: Venezia è, aldilà dello stato di salute cagionevole, fuori categoria, e Roma non ha mai superato, nonostante gli sforzi dei direttori, i limiti di un’illusione veltroniana, splendida nelle intenzioni e costosa nella realtà.
È un festival però che soprattutto conferma di avere un’identità di base sempre più forte ed evidente, a dispetto dell’offerta bulimica e per tutti i gusti che permette a ognuno di scegliere il percorso che più aggrada. Sono proprio i “generi” il punto: centrale è infatti l’idea di voler lavorare più palesemente sulle loro varie e infinite declinazioni, e di mostrare approcci ai vari canoni non particolarmente conosciuti e diffusi. Semplificando al massimo, potremmo dire che la tendenza più chiara ed evidente è voler mostrare la possibilità di essere allo stesso tempo inseriti nei canoni e nelle regole di un genere e avere uno sguardo innovativo, originale e, volendo, anche autoriale. La sezione più emblematica da questo punto di vista è la dark “Afterhours”, dedicata perlopiù a un genere un po’ ghettizzato dai grandi festival generici, l’horror (da citare almeno il parodico e inaspettatamente tenero The Final Girls e il demoniaco e potente Devil’s Candy). Ma indizi di questa tendenza si trovano, per esempio, nell’attenzione dedicata ad autori “folli” come Sion Sono e Ben Wheatley, nell’essenza popolare ma tutt’altro che banale del variegato fuori concorso “Festa Mobile” (per citarne uno, giusto perché è stato ricordato da pochi, il tesissimo, cupo e morale polar La resistance de l’air di Fred Grivois, oppure il cileno Nasty Baby, che dopo l’inizio da commedia indie si trasforma in un nichilista apologo morale); e anche nel concorso, come dimostra la piccola grande commedia messicana Sopladora de hojas e l’irrisolta ma affascinante e visionaria fiaba italiana I racconti dell’orso. Un festival che ha quindi puntato molto sulle atmosfere dark e cupe dell’horror e del noir, o sul sarcasmo feroce e spiazzante delle black comedy e del grottesco. Colpisce come in generale, pur ovviamente imbattendosi in film decisamente meno riusciti di altri, anche la visione delle opere meno valide non abbia dato l’impressione di stare perdendo tempo con un film inutile e anonimo, a differenza di kermesse più lagunari e più importanti. Anche nei peggiori dei casi, palpabile è stato infatti il tentativo di innovare i canoni del genere di riferimento e di darne una lettura perfettibile, ma originale e coraggiosa. Spiace quindi l’unico vero punto negativo: che la manifestazione non sia ancora radicata nella città come potrebbe e dovrebbe, sfruttandone solo in parte le potenzialità.