Stella caduta
Le star sono nate per essere venerate dai fan, hanno caratteristiche che le fanno riconoscere come tali da tutti, ma hanno una data di scadenza. Lo star system le genera e allo stesso modo le elimina: questo è ciò che è successo a Laura Antonelli, una nostra diva.
Laura era una ragazza come tante, una, come si dice, della porta accanto, umile nelle parole e nel riconoscersi come bomba sexy, anzi semplicemente spesso si stupiva. Gli anni ’70/’80 l’hanno vista imporsi nel cinema seguendo un’iconicità che faticava a vederla brava oltre che bella, una lotta continua con la quale si misurò fino all’ultimo. Il suo corpo, desiderato e ammirato nei momenti d’oro, è mutato nel tempo fino ad esaurirsi e ad auto-annientarsi. Una vita privata tormentata da amori e dubbi, guai giudiziari ed esilio sociale, come le vicende di un’eroina da romanzo che si ritrova vittima degli eventi. Ricordarla in queste poche righe in questi giorni, quando si celebra anche la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, fa riflettere: il cinema, il pubblico, gli “amici” hanno fatto violenza su di lei incessantemente, una violenza non fisica ma psicologica, quella che a volte è difficile da (ri)conoscere e fa più male. La sua era una recitazione delicata e asservita a ruoli spesso beceri con i quali era chiamata a confrontarsi, ma chi scrive, nonostante non l’abbia “vissuta” negli anni del boom professionale, ne ha sempre riconosciuto la bravura. Bravura sì che, sembra banale dirlo, ha dimostrato nelle pellicole di Visconti, Risi, Samperi, Scola e anche nelle farse di Corbucci (Rimini Rimini e Roba da ricchi su tutti) dove sapeva dare un guizzo nel rispetto di se stessa e delle donne stereotipate che interpretava. Poi come un lampo improvviso sparì, nascondendo i pasticci procurati da un lifting venuto male, e in pochi si “disperarono” di ciò. Lì iniziò la violenza, culminata nel mesto funerale dello scorso giugno. E così lo spogliarsi di un tempo per i pruriti sessuali dell’uomo mutò nello spogliarsi per vestirsi di poco, o meglio, di ciò che serviva per camuffarsi e vivere in solitudine la propria tossicodipendenza e la propria forte volontà di dimenticare il passato. Siamo stati cattivi e forse lo saremo ancora con lei, ma ci resta la potenza del cinema: le gambe che spia Antonio in Malizia, il suo modo di suonare il violoncello in Il merlo maschio, semplicemente lei in Divina creatura, il suo sguardo glaciale in L’innocente… Magari in queste pagine un giorno ne ricorderemo la filmografia senza patetismi (che spero non fuoriescano da queste righe) ma con la riconoscenza che merita. Grazie e scusa ancora Laura.